Barry Sonnenfeld: «Dimenticatevi del 2, Men in Black 3 è tutta un’altra storia»

In occasione dell'uscita del film in Blu-ray e dvd, Best Movie vi propone un'intervista allo storico regista della saga

BM: È stato difficile trovare il giusto equilibrio tra commedia e fantascienza per questa saga?
Barry Sonnenfeld: «Tutti parlano di commedia- azione- avventura ma penso che tutte e tre queste cose siano in conflitto tra loro. Se guardi una commedia, sai che la parte dell’azione sarà sottostimata, lo metti in conto perché è una commedia e l’azione non conta, l’importante è che sia divertente. Se c’è troppa azione non ti senti a tuo agio. È stato davvero difficile realizzare un clima da commedia- azione- avventura. E ancora oggi, mentre guardo il film mi chiedo se siamo riusciti a creare un mood omogeneo. Credo che alla fine ce l’abbiamo fatta a tirarlo fuori ma è stato davvero complicato. Trovo che se l’azione avesse preso il sopravvento e fosse diventata troppo cruenta – come sarebbe stato ad esempio se avessimo iniziato a tagliare teste o membra facendo vedere il sangue e non solo del vapore – il risultato sarebbe stato un totale senso di disagio. In qualche modo misterioso ce l’abbiamo fatta a mettere insieme tutte queste cose così diverse tra loro ma è stato davvero complicato, non lo auguro a nessuno».

BM: Crede che ci siate riusciti anche in MIB2?
BS: «No, nel secondo film non ce l’abbiamo fatta ed infatti abbiamo imparato molte cose. Pensando che il primo film fosse una commedia abbiamo realizzato il secondo senza un cattivo credibile. Johnny Knoxville era divertente ma mai davvero minaccioso. Lara Flynn Boyle nemmeno. Abbiamo spinto troppo verso la commedia con il personaggio si “Frank il carlino” e allora abbiamo capito che la saga non poteva essere solo una commedia. Tutti credevano che fosse una commedia ed infatti, se fossero entrati in un negozio per prenderlo, sarebbero andati nella sezione dedicato alle commedie…ma abbiamo continuato a guardare il primo film, e sebbene lo trovassimo divertente, abbiamo capito che non era come un Talladega Nights. Quello che abbiamo cercato di fare con Men in Black III, è stato tornare alla formula del primo film che era più focalizzato sui personaggi e sull’emotività. Uno dei momenti più toccanti della saga, per me, è stato quello in cui, alla fine di Men in Black, Tommy Lee Jones porge a Will (Smith, ndr) il neutralizzatore  e gli dice “Non ti ho addestrato per aiutarmi, ti ho addestrato per sostituirmi”. Ho pianto mentre lo guardavo, ho trovato Tommy così toccante alla fine del primo film. Ho pianto anche alla fine dell’ultimo film. Con il secondo abbiamo sbandato ma grazie a Dio abbiamo imparato dai nostri errori e siamo stati capaci di rimetterci in carreggiata».

BM: Ha capito che Men in Black II non funzionava già durante le riprese o solo dopo averlo rivisto recentemente?
BS: «Subito dopo aver finito Men in Black II, avevamo tutti capito che c’era qualcosa che non funzionava. Avevamo deviato verso la commedia piuttosto che enfatizzare i personaggi e la storia. Credo anche che abbia avuto un peso il fatto di aver iniziato a lavorare per cercare di far uscire il film nella data stabilita ma senza di fatto avere una storia della quale tutti fossimo convinti. Quindi la cosa più semplice fare, fu buttarsi sulla commedia, anche se non avevamo una gran storia e tutti sapevano di non poter contare sulla storia d’amore di Will. Non ci sono voluti dieci anni per capire quello che avremmo dovuto fare ma la cosa interessante è stata che quanto ci siamo sentiti pronti per Men in Black III, e abbiamo riguardato Men in Black, abbiamo scoperto che il film  faceva sorridere ma non era una commedia. Il pubblico aveva deciso che dovesse essere una commedia».

BM: Ci sono un sacco di programmi sugli anni ’60 e questo film è ambientato in quell’epoca. Pensa che sia un’età d’oro?
BS: «Non credo che gli anni 60 siano stati un’età d’oro per l’America. Credo piuttosto che siano stati un’età d’oro per la cultura, un momento di risveglio per tutto il mondo.  I tardi anni 60 sono stati un’era di rivoluzione e creatività. Ma non credo siano stati un’età d’oro per tutta l’America, per me, che sono cresciuto in quegli anni, di certo lo sono stati. Così è nata l’idea del 1969: come sapete, l’idea del viaggio nel tempo è stata un’idea di Will, e avremmo potuto scegliere qualsiasi anno in cui Tommy Lee Jones avrebbe potuto essere in vita. La particolarità del 1969 era dovuta al fatto che quello era l’anno in cui per la prima volta gli esseri umani lanciavano un razzo su un altro pianeta e per i Men in Black, la prima volta che gli esseri umani facevano quello che gli alieni avevano sempre fatto, ossia oltrepassare il proprio sistema solare. Ci è sembrato fantastico. Per quanto mi riguarda, la musica di quegli anni era strepitosa. Adoro la scena di Warhol, è la mia preferita.  Quello che non ho voluto è stato ambientare il film negli anni 60 per avere solo hippies, droghe e magliette psichedeliche. Era più un riferimento al momento culturale che non all’era dei figli dei fiori e delle stranezze. E poi era perfetto per via del lancio del razzo».

BM: Il film tocca il tema del razzismo negli anni ’60, seppur in modo molto lieve. Ce ne può parlare?
BS: «Will Smith ci ha aiutato davvero molto nel fare in modo che il film non diventasse un insieme di luoghi comuni sulla gente di colore in quegli anni. Abbiamo accennato all’argomento nella scena in cui Will viene fermato dai due poliziotti razzisti. Ma è stato irremovibile sul fatto di non dover calcare troppo la mano. C’è una scena molto carina che è stata aggiunta solo dopo aver girato. In questa scena, Will ruba del latte al cioccolato ad una bambina (mia nipote) e se lo beve. Senza dire o fare altro. Avevamo finito di giare da due settimane quando sento mia nipote che, dopo aver visto Obama alla tv, dice “Quello è l’uomo che ha rubato il mio latte al cioccolato”. Quando l’ho sentita dire così, ho pensato fosse fantastico così abbiamo ripensato la scena. Will non sapeva di questa cosa perché era stata aggiunta solo all’ultimo. Quando abbiamo visto il film per la prima volta l’altra sera, lui era seduto accanto a me nella sala cinema ed è scoppiato a ridere. Sì, il razzismo era parte del 1969 ma non era la cosa principale».

BM: Il ruolo di Tommy Lee è stato ridimensionato in questo ultimo film. È stato difficile persuaderlo a tornare?
BS:   «Le cose sono andate così: Tommy ama il personaggio che lui stesso ha contribuito a creare. Ama lavorare con Will Smith e con me. Siamo sempre andati sempre notoriamente d’amore e d’accordo. Abbiamo molte foto insieme in cui sorridiamo… e non sono foto ritoccate, davvero. Tommy ama la saga. Adora Will. E adora il personaggio quindi penso sia stata una decisione difficile, sia per lui che per noi. Eravamo molto tesi. Avremmo potuto distruggere la serie perchè più che gli alieni, la commedia, l’azione e il fantasy sono create dalla relazione tra i due personaggi principali. Se fate un sondaggio chiedendo “Perchè vorresti vedere Men in Black III?” di sicuro scoprirete che è perché il pubblico ama i due protagonisti. Abbiamo dovuto correre il rischio. Credo che Tommy desiderasse far parte dell’intero film ma non voglio parlare al suo posto. Ha capito che avevamo bisogno di dare nuovo vigore alla saga e per fare questo non potevamo semplicemente fare un altro film su un alieno che minaccia la terra. Ci dovevano essere altre elementi. Specialmente perchè dopo Men in Black II sembrasse nuovo e diverso. Credo gli sia dispiaciuto e credo che gli sarebbe piaciuto continuare, credo anche che il film gli piaccia molto».

BM: Ha pensato immediatamente a Josh Brolin per il ruolo del giovane K?
BS: «Sì. Josh è stata una mia idea. L’avevo visto in Non è un paese per vecchi e incontrato qualche volta ad un paio di eventi. Entrambi, Josh Brolin e Tommy Lee Jones hanno la testa più grande che io abbia mai visto in un essere umano. La prima volta che l’ho visto, ho detto, “Non vedo l’ora di vedere che aspetto avrà la tua testa in 3D.” L’avevo anche visto in W e ricordo di aver pensato che fosse davvero bravo perché non cercava solo di imitare George Bush, ma lo era davvero”. Quello che cercavo per Men in Black III era qualcuno che non fosse un’imitazione di Tommy. Una delle cose di cui Josh ha parlato durante la conferenza stampa, è stata la difficoltà nell’interpretare il ruolo dell’agente K del 1969 come una persona diversa. Una persona con sogni diversi, non così scorbutica e acida. Discutevamo spesso con Josh quale fosse la linea sottile tra essere l’agente K del presente e l’agente K del passato, tra il farlo sembrare troppo “felice”  troppo severo. Josh è riuscito a trovare un equilibrio perfetto tra i due. Ricordo come all’inizio, sia gli studio che i produttori avessero delle perplessità sul che Josh non potesse essere all’altezza, perplessità che io non avevo. Dissi loro “Ragazzi, Josh questo personaggio ce l’ha nel sangue e se non lo prendiamo il pubblico se ne andrà dalle sale!”. La linea era davvero sottile e Josh ha fatto un lavoro eccellente».

BM: Com’è stato lavorare di nuovo con il guru degli effetti speciali e del trucco di scena Rick Baker?
BS: «Rick è fantastico, ha disegnato da solo tutti gli alieni del film. Sa  perfettamente come voglio che sembri o non sembri un alieno. Per il trucco di Jemaine Clement (Boris) gli ci sono volute quattro ore mezza di lavoro tutti i giorni. Non ho mai pensato di poter lavorare con nessun altro se non con Rick Baker, Danny Elfman per le musiche e Will Smith per il ruolo di J».
(Harrison Pierce)

(Foto: Getty Images)

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