Beasts of No Nation, intervista a Cary Fukunaga

Il regista della serie di True Detective ha presentato all'ultimo Festival di Venezia il suo film. Prima volta assoluta per una produzione Netflix al Lido, Beasts of No Nation è la storia di un bambino soldato africano, travolto dalla guerra civile e trasformato in una macchina per uccidere

Due premi vinti come Miglior Regista (al Sundance con Sin Ombre e agli Emmy con True Detective), un film candidato agli Oscar (Jane Eyre, per i migliori costumi) e ora un altro in concorso a Venezia appena. Cary Fukunaga ha 38 anni, una poetica ben definita, e fascino da vendere. Abbiamo incontrato il regista della prima stagione del serial cult di HBO al Lido di Venezia, dove presentava il suo Beasts of No Nation – di cui è autore, produttore e regista -, primo film in concorso alla Mostra a essere stato prodotto e a venire distribuito in contemporanea mondiale da Netflix, ovvero da un servizio di streaming online. Il film, che sarà visibile in Italia dal 16 ottobre, racconta la storia di Agu, un ragazzino africano la cui vita viene sconvolta dalla guerra civile. A soli 9 anni, dopo che la sua famiglia è stata massacrata, il piccolo diventa un bambino soldato, al servizio della guerriglia condotta da un misterioso comandante interpretato da Idris Elba.

Best Movie: La guerra è un argomento che hai trattato fin dalle tue prime opere. Come mai tutto questo interesse?
Cary Fukunaga: Credo ci siano un miliardo di ragioni culturali, ma non ho mai cercato di analizzare il perché sono più attratto da un soggetto che da un altro. Se devo trovare una sola ragione, è perché ritengo che la violenza è una parte fondamentale del nostro essere. In fin dei conti noi siamo animali che controllano il proprio istinto, il più delle volte.

BM: Come ti sei documentato per fare il film? Hai incontrato dei bambini soldato?
CF: Una delle mie grandi passioni è la ricerca che precede la produzione di un film, mi sono documentato molto e ho incontrato vari componenti di alcune gang di ex bambini soldato. Ci sono state reazioni diverse: alcuni si pentono tantissimo per quello che hanno fatto, altri invece ne hanno nostalgia. C’era in particolare un ragazzo, anzi ormai un uomo, che mi diceva di sentire la nostalgia della sensazione di potere che si prova a uccidere.

BM: Hai pensato di utilizzarli nel film?
CF: Non avrebbero avuto problemi a raccontare le loro esperienze davanti alla macchina da presa, come è accaduto per i criminali intervistati da Joshua Oppenheimer in The Act of Killing. Ma non ho potuto inserirli nel film perché, è terribile dirlo, come in quel caso avrebbero sorriso tutto il tempo.

BM: Il film sarà visibile su Netflix. In qualche modo l’hai pensato per il piccolo schermo?
CF: Quando si gira un film è normale che lo si pensi comunque per il grande schermo, ma so che grazie a Netflix sarà visto da tantissime persone, ed è questo quello che davvero interessa ad un regista: che il film sia visto da più persone possibile. In più è prevista una distribuzione in alcune sale cinematografiche statunitensi e inglesi.

Come hai scelto i tuoi protagonisti?
CF: Il comandante doveva essere un personaggio simpatetico, volevo che le persone lo disprezzassero, ma anche che finissero con il provare pena per lui. Avevo bisogno di una persona affascinante e carismatica, e Idris Elba è stato fantastico. Il piccolo Abraham Attah invece è alla sua prima esperienza da attore. È un bambino normale di una famiglia normale. A volte aveva difficoltà a comprendere il contesto delle scena, stava a noi guidarlo. Ma i bambini sono così: con la stessa velocità e la stessa efficacia imparano a girare film, o a uccidere.

L’intervista è pubblicata anche su Best Movie di ottobre, in edicola dal 26 settembre

© RIPRODUZIONE RISERVATA