Blue Jasmine: Cate Blanchett depressa da Oscar per un Woody Allen in gran forma. La recensione

Il regista costruisce un puzzle di passato e presente incentrato su di una donna che è stata truffate e tradita dal marito, e ora deve ricominciare una nuova vita

Blue Jasmine è il film di un regista che non ha più tempo da perdere, nemmeno un minuto. Si vede in questo senso l’età di Woody Allen – 78 anni da compiere il primo dicembre -, nella decisione con cui va al punto. Pur essendo un puzzle di presente e passato, un film sbriciolato come la psiche della sua protagonista (i flashback hanno la stessa consistenza, la stessa luce, lo stesso peso narrativo del resto), è un lavoro essenziale, perfino un po’ schematico. Racconta con agghiacciante ironia la seconda vita di una ricca donna di New York (Cate Blanchett), il cui matrimonio con un importante uomo d’affari (Alec Baldwin) va in cenere dopo che l’FBI scopre l’enorme mole di truffe con cui si è arricchito. Jasmine perde tutto – tranne le valigie di Vuitton con le sue iniziali – e si rifugia dalla sorella Ginger (Sally Hawkins), piccolo borghese divorziata con due ragazzini a carico, a San Francisco. Qui tenta di rifarsi una vita tra scuole serali e un lavoro da impiegata in uno studio dentistico, conosce infine un ambasciatore in carriera (politica) che si innamora di lei (Peter Sarsgaard), ma il passato non le dà tregua.

Il bello del modo in cui questa seconda vita viene raccontata, è che non si sceglie nessuna morale. Quando le due donne si incontrano la prima volta, e quando escono poi con il rozzo fidanzato di Ginger e il suo amico, sembra molto probabile che il film si calcifichi intorno a una dualità tipo “topo di campagna/topo di città”. Invece prende per le due sorelle strade parallele e ugualmente trafficate, ribaltando il consolante “whatever works” (Basta che funzioni) del 2009 in una sorta di “nothing works for sure” (Niente funziona per certo), in cui gli uomini fanno una figura terrificante (bugiardi, mascalzoni, ladri, grossolani, narcisisti, violenti) e le donne sono al bivio tra depressione e superficialità.
Dov’è allora la schematicità, la misura esatta con cui Woody racconta quel che gli interessa? Nella distanza minima dai personaggi, nella prevedibile – perché classica – dedizione checoviana con cui sono sbozzati, negli incastri precisi tra cause ed effetti. E soprattutto nella rivelazione inesorabile che non è della decadenza di una donna che stiamo parlando – nonostante il racconto dei mali oscuri di mezza età sia chiaro e terribile – ma di quella di un mondo e di un modello sociale.

 

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