Cannes 2012, Si ride con la commedia alcolica di Ken Loach. La recensione

Il regista inglese torna alle atmosfere de Il mio amico Eric con Angels' Share

Robbie, due grandi occhi azzurri ma una profonda cicatrice che gli segna il volto e ogni giorno gli ricorda chi è, e chi non potrà mai essere. Un passato dietro le sbarre, un futuro violento e senza speranza da cui non può sfuggire (siamo a Glasgow), un presente scandito dalle 300 ore di lavoro socialmente utile che è costretto a scontare e dalla nascita di un figlio, frutto dall’amore per Leonie. Unico raggio di sole in una vita indelebilmente macchiata come la sua fedina penale.

Ken Loach si presenta sulla Croisette con una commedia sociale decisamente graziosa – una piacevole ventata d’aria fresca e di leggerezza in un Festival “infestato” da esorcismi, morte, solitudine e sangue – la cui selezione all’interno del Concorso lascia comunque qualche perplessità.
Siamo dalle parti de Il mio amico Eric, di quel cinema “proletario” costantemente alla ricerca di una seconda possibilità. Come quella che viene concessa a Robbie quando conosce Harry, un assistente sociale che si fa suo mentore e, quasi involontariamente, gli fornisce una via di fuga dal suo misero destino. Grazie alla sua amicizia e a un fiuto innato, il ragazzo viene introdotto nel ricco e profumato universo delle distillerie di whisky. Ed è proprio in una di queste che Robbie – in compagnia di Rhino, Albert e Mo, tre amici della comunità di servizio – plasma la propria fortuna.

La speranza – di trovare un senso alla propria esistenza, sfuggendo al vortice della delinquenza – c’è. Ma a condizione che si impari a controllare l’istinto e a usare la ragione. Che tradotto significa: non rassegnarsi al fatalismo ma scegliere di mettersi alla guida della propria vita.
Un messaggio rafforzato da una sceneggiatura brillante (firmata dal solito Paul Laverty) che non risparmia momenti di tensione e violenza ma che concede anche molte risate e scene di pura comicità –  di cui i principali artefici sono l'”ingenuo” Albert e uno slang ruvido e marcato, che spesso sconfina nel volgare –. E che con molta coesione alterna i due registri, portando in luce sentimenti ed emozioni sconosciuti allo stesso Robbie. Perché il Bene c’è in ogni uomo, anche in chi ha scatenato ingiustamente la sua furia contro un coetaneo, rovinandogli la vita. Basta solo trovare lo spiraglio giusto per accedervi, un bravo “maestro di vita” e imparare a «enjoy responsibly», come recita lo slogan del film.

Una pellicola che passerà da molti cineforum e che potrebbe rivelarsi un valido e divertente strumento educativo nelle attività con gli adolescenti. Ma che manca di quella vis estetico-artistica necessaria ad ambire alla Palma d’Oro.

Voto: 3/5

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