Cannes 2016: ecco le modelle invidiose e cannibali di Refn. La recensione di The Neon Demon

Il regista danese divide la platea dei festivalieri con un film elegante e folle, anche per i suoi standard

C’è sempre una specie di infantilismo nel cinema di Refn, una ricerca diretta del piacere, che trova una immobilità e una ragione nella messa in scena, in questi set pieces straordinariamente illuminati e nella musica elettronica di Cliff Martinez. Per questo l’autore danese dentro il mondo dell’alta moda più che una narrazione trova una corrispondenza, e sempre per questo probabilmente perde il senso di qualsiasi racconto, che in The Neon Demon è ridotto all’ovvio: una giovane promessa delle passerelle arriva a Los Angeles e fa in fretta carriera, suscitando l’invidia – e poi la violenza – delle colleghe più scafate.

Refn negli ultimi anni questo mondo lo ha sperimentato in prima persona, avendo girato un certo numero di commercial per marchi del lusso, e a rivedere adesso lo spot per Gucci con Blake Lively si riconoscono alcune idee visive di The Neon Demon (l’ultimo set fotografico, la passeggiata nel deserto, la bionda vestita d’oro). Il film vive quindi nella tensione, tutta di superficie, tra glamour e violenza, immaginando sempre il primo come forma della seconda, un passaggio che in pratica è diventato la cifra del cinema di Refn proprio con Drive (la violenza di Bronson o Valhalla Rising non era affatto glamour, era anzi un tratto primitivo) e il citato lavoro pubblicitario.

Anzi, la suspense si crea proprio nel tempo che passa perché la violenza intervenga a dare movimento a questo lavorìo immobile, in coda a una serie di segnali premonitori (il puma nella camera di motel; la presenza minacciosa del proprietario, che forse è un serial killer; il vetro rotto), e mentre i personaggi maschili scompaiono per marginalità uno dopo l’altro.

Il bello (o il problema, a seconda dei punti di vista) è che, a parte pochi flash, Refn si concede il lusso di essere ellittico perfino quando si arriva alla catarsi, la maggior parte dell’azione e dell’orrore è fuori scena. C’è quindi una fragilità orgogliosa e ricercata, un impatto paradossalmente modesto nel gesto di un film così semplice e diretto nel rappresentare l’invidia femminile (attraverso il cannibalismo!).

Quello che poi il regista di Pusher continua a fare meglio di tutti, è accostare interni ed esterni, passare dagli uni agli altri cambiando completamente tono e illuminazione (quindi anche senso), eppure suscitando la stessa bellezza e tenendo assieme il film. Le strade e le colline di Los Angeles sono le stesse di Drive.

È probabile che The Neon Demon richiederà un po’ di tempo, ma verrà poi assimilato dai fan del regista, e detestato da tutti gli altri.
Ma è anche vero che arrivata a questo punto la seconda fase della sua carriera, non si capisce dove Refn possa proseguire, senza tornare un po’ indietro, o cambiare completamente rotta. Altrimenti è finita qua, abbiamo già le pagine interne e una bellissima copertina.

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