Cannes 70: The Square e la farsa dell’arte contemporanea. La recensione del film con Elizabeth Moss

Interminabile e tedioso, ma anche intelligente e a tratti divertentissimo, il film dello svedese Ruben Östlund ha fatto ridere rumorosamente i giornalisti durante la proiezione stampa

Il trailer italiano di The Square

Come era accaduto lo scorso anno con Toni Erdmann, anche quest’anno in concorso al Festival di Cannes c’è una commedia. Si chiama The Square e l’ha girata Ruben Östlund, che tre anni fa era in concorso al Certain Regard (la sezione competitiva minore) con Forza maggiore, storia di una famiglia svedese che veniva sorpresa da una valanga durante una vacanza sulle Alpi francesi. Anche in quel caso il film era una satira sui ruoli sociali, il padre scappava lasciando sul posto – la terrazza di un hotel – moglie e prole, nessuno si faceva male ma quel piccolo atto di vigliaccheria minava irreparabilmente l’equilibrio familiare.

Stavolta il protagonista è Christian (Claes Bang), il direttore di un museo di arte contemporanea che sta per inaugurare una nuova mostra, intitolata appunto The Square, cioè la piazza. L’idea dell’esposizione è di mettere in piedi una riflessione sulla solidarietà urbana, uno spazio in cui chiunque deve dare aiuto a chi ne faccia richiesta, ma la realtà si mostra da subito in conflitto con l’arte: Christian soccorre una ragazza che viene aggredita da un uomo, solo per accorgersi che i due erano d’accordo e gli hanno rubato portafogli e cellulare.

Östlund gioca a carte scoperte, durante un’intervista condotta da una giornalista americana (Elizabeth Moss) che gli riporta una sua vecchia dichiarazione, il protagonista non ha idea di quel che sente, si aggrappa all’argomentazione più banale e abusata del suo mondo, cioè che il senso di un oggetto cambia a seconda del luogo in cui si trova. Nel frattempo i ragazzi dell’ufficio marketing che devono preparare la campagna di comunicazione affrontano la questione della viralità seguendo strade sempre più contorte, citando come modello l’Ice Bucket Challenge e alla fine decidono di simulare… l’esplosione di una bambina.

Il film ha un andamento sornione e ipnotico, perfettamente nordico (il riferimento più rapido è Roy Andersson e il suo piccione seduto su un ramo a riflettere sull’esistenza). Le immagini del museo, delle cene di gala, delle performance dal vivo, si alternano a quelle delle strade popolate di senzatetto, c’è una continua dispersione del senso delle azioni di tutti all’interno di una cornice di grande compostezza, la recita sociale è a volte comica, a volte folle, a volte grottesca.
L’unica vicenda con un capo e una coda, quella che fissa con chiarezza gli oggetti della satira, è quella del portafogli: per recuperarlo Christian traccia il tragitto del suo iPhone fino ai quartieri popolari della città, compie un’azione illegale e mette nei guai un ragazzino che non c’entra nulla. E gli ci vuole tutto il film, e una grossa crisi professionale per fare i conti con le sue azioni, estrarne un significato e prendersi le sue reponsabilità.

Lunghissimo e a tratti molto divertente (la stampa ha riso rumorosamente), con sequenze interminabili che adempirebbero al loro scopo anche come cortometraggi a sé stanti, The Square è probabilmente l’unico tipo di commedia “accettabile” per un Festival così, perché si fa perdonare di essere molto divertente arrivando a vette di tedio insopportabile. Ma ha il pregio dell’intelligenza e di una messa in scena formidabile.

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