Cannes: L’odissea dei “sans papier” secondo i Dardenne

I fratelli belgi, vincitori di due edizioni del festival, hanno presentato ieri sulla Croisette il loro Le silence de Lorna (foto)

«Un’opera sulla solidarietà, scoperta anche passando per zone oscure, discriminazioni di ogni sorta». Così i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno definito il loro film presentato ieri in concorso a Cannes, Le silence de Lorna. Con il quale hanno già messo un’opzione sulla Palma d’Oro, premio che hanno già conquistato con Rosetta (1999) e L’enfant (2005). La storia è quella dell’albanese Lorna (interpretata dalla kosovara Arta Dobroschi), che pur di ottenere la cittadinanza belga decide di sposare il tossicodipendente Claudy (Jérémie Renier) per una cifra che le verrà restituita raddoppiata se, una volta divorziata dall’uomo, accetterà di sposare un russo che a sua volta vuole la cittadinanza belga. Ma di mezzo ci si mettono giri mafiosi che decidono di far sparire dalla scena prima del tempo Claudy. Non prima che l’uomo abbia chiesto a Lorna di aiutarlo a uscire dalla dipendenza dalla droga, spalancando nella donna una nuova dimensione umana. Prima di convolare a nuove nozze col russo, Lorna sospetta anche di essere rimasta incinta. «Qualcosa la cambierà», hanno detto i registi in conferenza stampa, «spingendola a rompere il suo silenzio, a cercare altre verità, in primis dentro se stessa». Sul tema aborto, tangenzialmente toccato dal film, i registi hanno commentato: «Claudy è come Lorna: un essere nella bufera, e il suo rapporto con lei apre nella donna un baratro non necessariamente legato al fatto che pensa di aspettare un figlio. La maternità è per Lorna un alibi che nasconde verità diverse dalle crepe morali in cui è sprofondata». Più che altro, nella pellicola è a tema dunque la realtà degli immigrati. A tal proposito parla Alban Ukaj, kosovaro come la Dobroschi, che nel film è Sokol, l’uomo con cui Lorna vorrebbe cominciare una nuova vita: «Durante la guerra in Kosovo sono stato un rifugiato. So come ci si sente quando tutti ti guardano con sospetto. La cosa peggiore è l’umiliazione, preferirei morire piuttosto che rivivere un’esperienza come quella». Gli fa eco la Dobroschi: «Ho vissuto il film pensando a tante storie di donne del mio Paese». Infine, a proposito di come è stata realizzata la pellicola, i registi hanno spiegato: «Abbiamo ambientato la storia a Liegi perché volevamo che la solitudine di Lorna fosse ancora sottolineata dallo sfondo della vita intensa di una grande città. Non stiamo addosso con la macchina da presa alla protagonista, volevamo guardare Lorna agire senza interferire». Concludono: «Siamo cambiati anche noi. In una realtà sempre più avida e cattiva, cerchiamo sempre di più di rispettare l’umanità dei personaggi. Anni fa avremmo scelto per Lorna un destino più spietato, oggi le lasciamo la speranza».

Ev.An.

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