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C’era una volta un fagiolo…

Ovvero Il cacciatore di giganti, la versione tridimensionale e targata Bryan Singer della fiaba di Jack e il fagiolo magico

C’era una volta un fagiolo…

Ovvero Il cacciatore di giganti, la versione tridimensionale e targata Bryan Singer della fiaba di Jack e il fagiolo magico

L’INTERO APPROFONDIMENTO È PUBBLICATO SU BEST MOVIE DI MARZO

Fermi tutti. Prima di lanciarvi in fantasiose (re)interpretazioni, resettate i vaghi ricordi associati a questa favola (per altro poco nota da noi), perché c’è qualcuno – e nella fattispecie Bryan Singer – che ha deciso di riscriverla per il grande schermo, affidando il ruolo dell’eroe a Nicholas Hoult (ricordate il bambino di About a Boy? Ecco lui, solo undici anni dopo) e schierando nella retroguardia big star di Hollywood. La notizia potrebbe far storcere il naso a molti, ma ci sono almeno tre (buoni) motivi che hanno convinto il regista di I soliti sospetti e dei primi due X-Men a riscattare questo racconto della tradizione inglese.

TERAPIA ANTISTRESS
Punto uno: Singer aveva bisogno di recuperare le energie fisiche e intellettuali dopo il suo ultimo film, Operazione Valchiria. E quale miglior occasione di una storia di pura evasione ambientata in un mondo spazio-temporale indeterminato? «Per realizzare quel film avevo sviluppato una vera ossessione per tutti i dettagli storici, dovevo stare attento a ogni singolo elemento, affinché non ci fossero incongruenze con la reale evoluzione degli eventi. Questa pellicola, invece, rappresenta un’avventura fantastica, che ha luogo da qualche parte in Inghilterra e coinvolge personaggi tutti da inventare. Un puro – e decisamente più rilassante – viaggio creativo».
UN’AVVENTURA EPIC(A)
Punto due: da quando l’amico James Cameron ha fatto conoscere al mondo Pandora e i suoi Avatar, Singer ha iniziato a sentire il richiamo del 3D e della performance capture; una fascinazione che col tempo (e con i successi che questa nuova tecnologia ha macinato da allora) si è evoluta in curiosità e poi voglia di sperimentare con le proprie mani. Le quali sono finite direttamente sulla Epic Red, cinepresa compatta ma ad altissima risoluzione, ideale per le riprese stereoscopiche (la stessa usata da Peter Jackson per Lo Hobbit). Non solo, dal momento che il film racconta un’epoca anteriore all’invenzione dell’elettricità, «l’incredibile flessibilità di esposizione della Epic mi ha permesso di esplorare con più efficacia l’utilizzo della luce naturale». Non abbiamo avuto la fortuna di vederlo all’opera la prima volta che ha potuto assaporare le potenzialità di questo miracolo della tecnologia, ma non facciamo fatica a immaginare la stessa espressione di un bimbo il giorno di Natale. Anche perché Il cacciatore di giganti ha segnato per lui un duplice battesimo: «È stata la mia prima volta anche con la performance capture», necessaria per dare “volume” ai giganti del titolo. «È fantastico, ora capisco perché Zemeckis e Cameron hanno fatto film così. È come tornare bambini, perché devi usare tutta la tua immaginazione per figurarti l’atmosfera e i personaggi con cui devi interagire. E naturalmente è anche parecchio divertente». Lo conferma Bill Nighy, che era già stato diretto da Singer in Operazione Valchiria e che qui dà corpo a Fallon, il leader a due teste (la “sua” è quella più grande, l’altra appartiene al collega John Kassir): «Esperienza unica! Sono alto quasi sette metri e mi nutro di umani, il che è già parecchio ridicolo. La cosa più difficile sul set era rimanere seri, anche perché la divisa non aiutava: aderente tuta nera con zip sul davanti e casco con telecamere collegate che scendevano fino al mento e mi riprendevano le narici! Per fortuna scherzi e battute si sono esauriti nei primi giorni di riprese e ho anche imparato a trattenere le risate: bastava non guardare gli altri colleghi con la mia stessa mise». […]

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