Gli italiani hanno detto «sì» per dire «no», un’altra volta, all’energia atomica. Come nel 1987. Certo, contano i reportage drammatici dal Giappone, che settimana dopo settimana ci consegnano dati sempre più inquietanti. E contano soprattutto le immagini di una catastrofe naturale di dimensioni straordinarie e del connesso pericolo che le centrali corrono, al pari dei cittadini che vivono nelle vicinanze (e non solo).
In questi anni non abbiamo ancora imparato a non preoccuparci e ad amare la bomba (e ci mancherebbe), ma neanche ad apprezzare il nucleare pacifico: possiamo solo immaginare quello che sta succedendo al reattore della centrale giapponese di Fukushima, e lavoriamo di fantasia, cercando nella memoria scene di film che hanno voluto raccontare vicende analoghe. Perché da sempre il cinema è mezzo di espressione privilegiato per denunciare ed esorcizzare) storie di guasti atomici, fughe radioattive e disastri incombenti; nel momento stesso in cui il progetto Manhattan dimostrò al mondo che si poteva scindere l’atomo e ricavarne quantità inimmaginabili di energia, il cinema decise di schierarsi compatto contro questa strada, con la sola eccezione del classico con Mickey Rooney Atomicofollia, curiosamente ammiccante verso il nucleare. È così da sempre, fin da quando i giapponesi esorcizzarono la paura del post-Hiroshima inventando Godzilla, il lucertolone mutato da radiazioni che vuole distruggere Tokyo.
Troppo facile, però, dire che non ci fidiamo né ci fideremo mai di tutti gli Stranamore di questo mondo, che un’arma così potente non dovrebbe mai essere nelle mani di nessun essere umano, neanche dietro rassicurazione che sia tutto A prova di errore (come raccontava il compianto Sidney Lumet in uno dei suoi film più sottovalutati). Perché se questa volta la fatidica barriera del 50%+1 è stata infranta, c’è chi potrebbe dare la colpa a quegli scienziati (e non sono pochi) che rimangono nuclearisti nonostante tutto, che vedono nell’atomo la fonte di energia privilegiata per il futuro. Ma nonostante le rassicurazioni, resta il fatto che non è facile guardare con lucidità e distacco alla questione delle scorie, soprattutto in Italia, soprattutto dopo Gomorra. Né altrove si sta meglio: negli Usa l’incidente di Three Mile Island del 1979 spaventò tutti, e quattro anni dopo Mike Nichols in Silkwood raccontò le drammatiche condizioni degli operai di una centrale nucleare. Un film antesignano anche della Springfield dei Simpson, che oltre a essere uno straordinario prodotto artistico è anche, per stessa ammissione degli autori, uno spot antinucleare.
In attesa che qualcuno faccia seguito agli appelli di Al Gore in Una scomoda verità e magari giri un film sulla rivoluzione energetica del Sole e del vento, quindi, quello che resta impresso del dibattito sull’atomo è sempre legato ai rischi e agli incidenti. Con toni anche terroristici, certo: chi mai vorrebbe vivere nel mondo di Mad Max, o ancora peggio del liricissimo e desolante La strada? «Sono paure infondate» ci dicono i nuclearisti; ma sempre di paure si tratta, e non si può non farci i conti, che si sia d’accordo o meno con la strada dell’atomo. E, permetteteci, anche l’irrazionalità è tutta da dimostrare: perché la sicurezza, nonostante tutto, forse non la può garantire ancora nessuno.
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