Daniel Craig: “Il pericolo è il mio mestiere!”

Il protagonista di Casino Royale e Quantum of Solace (in uscita oggi in Dvd e Blu-ray Disc) racconta il suo spericolato James Bond e la sua passione per 007

Promosso a pieni voti dai fan Daniel Craig è riuscito a dare nuova verve al mitico personaggio nato dalla penna di Ian Fleming nelle due pellicole che hanno saputo tirare a lucido la saga e farla amare anche dalle nuove generazioni. Dopo il successo planetario di Casino Royale (2006), che ha registrato il maggiore incasso mai realizzato da un film su James Bond, è stata la volta della consacrazione con Quantum of Solace che sarà disponibile a partire da oggi in Dvd e Blu-ray Disc, e  del quale l’attore inglese ci parla in questa intervista, raccontandoci che cosa pensa del personaggio, dei film del passato, delle Bond girl e delle acrobazie fatte sul set (guarda il backstage), che sembrano preoccuparlo davvero poco. In perfetto stile James Bond…

Che cos’è che secondo te rende Bond moderno? Cosa devono avere i film di questi tempi?
«Io credo che debbano avere quello che hanno sempre avuto e cioè un protagonista molto forte. So che è una cosa piuttosto ovvia da dire… Penso anche che un film debba “portare” da qualche altra parte per conquistare il pubblico. Ne sono convinto. Stavo pensando ai primi film di Bond: quello che li caratterizzavano erano le location in cui venivano ambientati. Alcuni posti venivano ricostruiti – come facciamo ancora oggi – ma in altri ci andavano davvero. Non ricordo quale fosse, ma in uno di quei film andavano a Tokyo. Immagina portare una troupe a Tokyo! è complicato oggi, figuriamoci allora. Le location erano importanti: tu guardavi il film e pensavi: “lui è davvero lì”, “quella è proprio Tokyo”, “quello è il Carnevale di Rio”. Queste erano le cose che distinguevano Bond».   

Sono queste quindi le cose che ricordi di più dei film di Bond che hai visto da ragazzino?

«Sì! Sono queste le cose che mi colpivano da bambino e che mi facevano desiderare di essere James Bond, oltre alle ragazze e alla auto. Ora magari sono date per scontate, ma questo era davvero il modo in cui Cubby Broccoli e Harry Saltzman (i produttori storici di Bond) avevano deciso di realizzarlo. Loro avevano scelto di usare il budget per portare il cast e la troupe nelle vere location e il risultato si vedeva sullo schermo. Ora quella tradizione prosegue. Per Quantum siamo stati in Cile e a Panama, soprattutto su insistenza del regista Marc Forster. Lui lo ha fortemente voluto e aveva ragione. Abbiamo parlato di quello che ricordavamo dei film di Bond, e quello che ci è rimasto è proprio il fatto che venivi trasportato in posti che normalmente non avresti mai visto. Al giorno d’oggi è più difficile sorprendere perché si viaggia di più, ma credo che ci siamo riusciti perché siamo andati in luoghi davvero straordinari».

Come descriveresti lo stile di Quantum of Solace?
«Direi veloce. é dannatamente veloce. è veloce come uno schiaffo in piena faccia e credo che era proprio quello che serviva perché dove vai dopo Casino Royale? Quantum porta avanti la storia e prosegue quello che era rimasto in sospeso. In più l’abbiamo “caricato”: le acrobazie sono incredibili, le location fantastiche e non c’è nemmeno il tempo di respirare. La prossima volta faremo qualcosa di più poetico (ride)».

Come è stato sviluppato il personaggio di Bond questa volta?
«Penso che lo stile sia importante e spero che quando la gente vedrà quello che abbiamo fatto in Quantum of Solace (con un nuovo regista e un nuovo costumista) capirà che abbiamo voluto aggiungere qualcosa che si rifacesse ai vecchi film, e allo stesso tempo abbiamo voluto aggiungere qualcosa di nuovo. Ci sono grandi set, inquadrature suggestive, riprese mozzafiato e anche qualcosa che richiama il passato, ma senza essere troppo autoreferenziali. Se fossimo solo autoreferenziali il film non funzionerebbe. E dobbiamo stare molto attenti nell’evitare questo aspetto».

Interpretare Bond ti ha in qualche modo cambiato?
«Personalmente? Grazie a Bond mi sono capitate un sacco di cose positive nella vita e ovviamente mi ha aiutato molto, ma non mi ha cambiato l’esistenza. La cosa più importante della mia vita sono la famiglia e gli amici: sono loro che ti sostengono e che ti ricordano chi sei veramente. Ma ho fatto delle cose davvero belle grazie a Bond. Basta pensare ai viaggi che ho potuto fare e a quello che ho potuto vedere, come per esempio la Cappella Sistina. Insomma sono privilegi che ho apprezzato tantissimo».

C’è qualche aspetto di Bond che avresti trovato difficile da interpretare quando era "meno politically correct"? Per esempio il suo atteggiamento verso le donne?
«No, perché lo avrei vissuto contestualmente a quei tempi. Ovviamente mi sono chiesto se oggi è meno misogino di un tempo e la mia risposta è no, penso che sia misogino come lo è sempre stato. La differenza è che oggi c’è Judy Dench e che se oggi Bond tratta male una donna, questa semplicemente lo manda al diavolo. Penso che sia interessante che al posto di essere semplicemente belle ragazze in bikini – e non c’è niente di male nell’essere una bella ragazza in bikini, certe volte anzi è davvero fantastico (ride) – ci siano donne in grado di tenergli testa. In alcuni dei film precedenti, Honor Blackman e Diana Rigg interpretavano donne eccezionali e credo che noi non dobbiamo fare altro che mantenere questa direzione. Gemma Arterton in Quantum of Solace è splendida e interpreta un ruolo davvero dolce, ed è perfetta».

Credi che Olga Kurylenko nei panni di Camille sia in qualche modo lo specchio del desiderio di vendetta di Bond?
«Il punto cruciale riguarda la redenzione e in questo senso la risposta è no. Per Camille si tratta di vendetta, per Bond invece la questione sta nella ricerca di "un po’ di conforto" (Quantum of Soalce). Non sto provando a fare colpo citando il titolo, ma credo che sia questo il punto. Abbiamo scelto il titolo Quantum of Solace proprio perché Bond è in cerca di conforto».  

Cosa pensi del titolo? E’ un po’ criptico…

«Ero intrigato dal titolo. Lessi il soggetto e mi piacque subito l’idea. Come vuoi intitolare un film di James Bond? Non è una critica, ma non puoi intitolarli tutti Oggi è il giorno per morire o Sono tutti morti, perché non rimangono impressi, nessuno se li ricorda. E non è certamente un cinico tentativo di creare un titolo a effetto solo perché rimane impresso nella memoria. So solo che è venuto fuori, non ricordo neanche di chi fu l’idea, eravamo tutti seduti a un tavolo e ne discutemmo. C’era un paragrafo nel soggetto che descriveva il momento in cui tutto sembrava perduto. Non c’era nessun posto dove andare e nemmeno "un po’ di conforto". Quando lo leggemmo capimmo subito che era quello l’aspetto su cui dovevamo puntare e così cominciammo a parlarne. Sono contento del titolo perché ha un significato alle spalle. E poi è un titolo che lo stesso Ian Felming avrebbe amato».

Cosa ti piace del personaggio di Bond?
«Il suo modo apolitico di essere al servizio dei servizi segreti. Sa esattamente cosa sta facendo ed è molto bravo in quello che fa. Il nostro sistema politico ha creato queste organizzazioni, i servizi segreti, e noi dobbiamo sperare che siano i "buoni" che prendono le decisioni per noi, la gente comune. Anche se Fleming era una persona dell’alta società, inventò quest’uomo per tutti e penso che Sean Connery mirava a questo nell’interpretarlo sullo schermo. Da qualche parte dentro di sé Bond crede di stare facendo le cose giuste anche se uccide un sacco di gente ogni volta! Ma amo questo aspetto del personaggio: c’è qualcosa dentro di lui che gli fa sapere cosa sia moralmente giusto».

So che hai visto i film di Bond per la prima volta quando eri un bambino…
«Sì, soprattutto in tv».

Cosa ti ricordi di quei film?
«Soprattutto Sean Connery. Vivi e lascia morire (con Roger Moore) è stato il primo che ho visto al cinema. Ma Dalla Russia con amore è bellissimo. Penso che Goldfinger sia il più elegante perché hanno amalgamato insieme ogni cosa – i vestiti e i set cinematografici di Ken Adams hanno dato una marcia in più alla serie, ma Sean Connery e Robert Shaw in Dalla Russia con amore, sono una coppia formidabile. è ancora memorabile oggi, davvero stupendo».

Cosa ne pensi dello humour del film?
«è qualcosa che deve venire spontaneamente. Sono molto nervoso quando c’è una gag nella sceneggiatura, perché non stiamo facendo una commedia e quindi non puoi infilarcele dentro a forza. Ma spero ci siano alcuni momenti di svago. Quantum è così veloce e così rapido, che non c’è molto tempo – ma dovresti ridere perché c’è sempre qualcosa di spettacolare che accade e poi c’è una soluzione. Ma non sono fatto per le commedie (ride)».

Ci sono molte scene action spettacolari. Raccontarci qualcosa su quella a Siena, dove ti trovi sui tetti e salti da un balcone…
«Ero molto in alto! I balconi erano finti, quindi dovevano venire rinforzati e venir “attaccati” all’edificio a circa 30 piedi di altezza o forse più. Non so cosa dirti, a parte che ho fatto gran parte della scena io in prima persona, che ero appeso a cavi di sicurezza e che è stato a dir poco emozionante. La sensazione più strana era nei momenti in cui ero fermo e pronto a saltare.  Eravamo pronti a girare e c’erano cinque telecamere, una gru, una telecamera aerea e pure il pubblico (ride). Eravamo a Siena ed era pieno di turisti che dicevano: "Ehi guarda! Cosa sta facendo?". Io invece ero là e dicevo: "Non posso scendere adesso. Devo lavorare…".  La squadra degli stunt è eccezionale e abbiamo lavorato molto insieme. Ci ubriacavamo insieme, ci “controllavamo” a vicenda e senza di loro non si faceva niente. Ho fatto tutto ciò che è umanamente possibile e loro mi hanno aiutato tantissimo».

Ti sei ferito girando Quantum of Solace. è stato fastidioso?
«Neanche un po’ (ride). So che suona un po’ “macho”, ma davvero la cosa non mi crea problemi. E la cosa strana con queste cose – come le ferite che avevo in faccia – è che accadono principalmente durante le scene di combattimento, e proprio le scene di combattimento sono quelle che si provano di più. Si prova tanto e intensamente per poter trovare la giusta angolatura. Ma alla fine sono sempre le stupidate, come il laccio di uno stivale, a causare ferite. E non c’è modo per prevedere questo genere di cose. Nel caso di acrobazie più pericolose – come penzolare dal tetto di un palazzo o saltare da una casa –  c’è una preparazione meticolosa: io vengo assicurato a un cavo, ci sono materassini e tutti sono un po’ nervosi ma, toccando ferro, è tutto calcolato. Quindi sono le sciocchezze che ti sorprendono e improvvisamente ti ritrovi uno stivale in faccia perché hai perso per un secondo la concentrazione».

Ho letto da qualche parte che una volta volevi diventare uno stuntman. è vero?
«(ride) No. Forse quando avevo 10 anni… ma  è morta lì».

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