Doctor Sleep, intervista a Mike Flanagan: «Non ho voluto imitare Kubrick»

Mike Flanagan, con la serie Hill House e con film quali Il gioco di Gerald, Somnia e Oculus - Il riflesso del male, si è affermato come uno tra i più talentuosi registi horror della sua generazione. Nell'intervista ci racconta come è stato lavorare al sequel di Shining

Sul numero di ottobre di Best Movie non siamo riusciti a pubblicare tutta l’intervista per ragioni di spazio, ecco perché trovate qui la versione integrale. 

Classe 1978, nato in quella città di Salem famosa in tutto il mondo per le sue streghe (sarà un caso?), Mike Flanagan ha già firmato diversi horror capaci di conquistare il favore della critica. Dall’adattamento del romanzo Il gioco di Gerald alla serie Hill House (approdati su Netflix) e prima ancora con al cinema con Ouija – Le origini del male, Somnia e Oculus. Ora il regista si è preso una bella briga. Dirigere Doctor Sleep, ovvero il sequel diretto di una delle opere più note di Kubrick, a sua volta ispirata a uno dei più iconici libri di Stephen King.

Shining ha unito il genio di Stephen King a quello di Stanley Kubrick, la responsabilità dunque è enorme. Sarà il sequel di quel film o preferite proporlo come ispirato direttamente dal romanzo?
«La risposta a questa domanda è complessa. Da una parte questo è il riadattamento cinematografico della novella di King, dall’altra è inevitabilmente un omaggio a Kubrick. Allo stesso tempo però, ci tengo a precisare che questa sarà una storia a sé, con uno stile suo. Non abbiamo cercato di imitare il regista di Arancia Meccanica, anche perché sarebbe stato impossibile».

Avevi coinvolto King e gli eredi di Kubrick?
«Sì, sin dagli inizi fu chiaro che non potevamo fare nessun sequel di Shining senza il loro consenso. C’è una scena chiave che ci ha permesso di avere l’ok di tutti, ma non vi posso spiegare nel dettaglio di che scena si tratti, perché sarebbe uno spoiler enorme. Comunque, grazie a quella scena, abbiamo ottenuto la benedizione di entrambi, ma lo stress è stato enorme».

Perché?
«Perché King è sempre attentissimo, risponde alle email in cinque minuti, sempre, solo che quella volta non l’ha fatto».

Non ha risposto subito?
«No, ha risposto. Ma la scena di cui parlavo è nella seconda metà del film e lui ha risposto immediatamente scrivendo: “Adoro la prima parte del copione, ma ora vado fuori città”, infatti suo figlio Joe si sposava (lo scrittore Joe Hill, Ndr) e così abbiamo dovuto aspettare ben 10 giorni prima di capire se la parte che per noi era basilare gli sarebbe piaciuta. Se così non fosse stato, sarebbe stato un grosso problema».

E cosa è successo dopo quei dieci giorni?
«Ha finalmente scritto, apprezzando con entusiasmo il nostro lavoro e quella scena. Ma l’ansia non era finita. Abbiamo girato e montato il film e siamo andati nel Maine, per mostrarglielo. Gli è piaciuto molto e per noi è stato un grande sollievo, ma ancora non era finita. Dovevamo fare la stessa cosa con gli eredi di Kubrick e insomma, alla fine è andato tutto bene, la parte più stressante di tutto questo processo è alle spalle».

No?
«No, poi è venuto il dopo. Abbiamo girato e montato il film e siamo andati nel Maine, per mostrarglielo. Gli è piaciuto molto e per noi è stato un grande sollievo ma ancora non era finita. Dovevamo fare la stessa cosa con gli eredi di Kubrick e insomma, alla fine è andato tutto bene, la parte più stressante di tutto questo processo è alle spalle».

Ora però ci sono i fan, del libro e di Shining. Sicuro che lo stress sia alle spalle?
«Il primo dei fan sono io e quindi sono sempre a chiedermi quali critiche farei io al film.  Per prima cosa ho cercato di essere attento e consapevole delle intensissime conversazioni dei fan circa i due adattamenti del romanzo di King (oltre all’iconico film di Kubrick infatti, un buon successo ebbe anche la miniserie tv del 1997, con Rebecca De Mornay  e Steven Weber, che vinse due Prime time Emmy, n.d.r.). Poi però, a un certo punto, ho dovuto staccare. Ci siamo trovati nella necessità di ignorare i commenti dei fan al nostro progetto, altrimenti non saremo andati avanti».

Ad esempio ci saranno stati commenti sul fatto che riproporrete l’Overlook Hotel, ben sapendo che non esiste più.
«Esatto, quello, una volta uscito il trailer che mostrava le immagini dell’hotel, è stato oggetto di prolungate e piccate conversazioni. Il mio suggerimento è: aspettate a vedere. Abbiamo fatto, ne sono convinto, un buon lavoro. Il rischio era di apparire cinici, ma abbiamo cercato di agire con il massimo rispetto possibile».

Avete pensato di ingaggiare Danny Lloyd nella parte di Danny, anche se ora fa l’insegnante e non lavora più nel cinema?
«Sì, l’ho contattato tramite Twitter, come fan non potevo non farlo. Non è successo, ma sono contento di aver pensato anche a lui».

Verrà alla première?
«Me lo auguro».

Nel suo curriculum c’è una serie molto famosa di Netflix, Haunting of Hill House, nella quale ci sono molti omaggi sia a King che a Kubrick, c’è un episodio con una scena lunghissima senza tagli, marchio di fabbrica di Kubrick, ad esempio. Quella serie ha aiutato ad arrivare alla regia di questo film?
«In realtà la serie è uscita quando già stavamo girando Doctor Sleep, quindi la risposta è no.  Circa gli omaggi nella serie e alle scelte estetiche di Haunting of Hill House, molte sono state dettate dal mio amore per Kubrick vero e, come nella serie anche in questo film, i fan potranno scoprire molti ‘Easter egg’, non solo riferimenti al lavoro di Kubrick ma, naturalmente anche al mondo di Stephen King».

Ci saranno lunghi piani sequenza?
«Ci saranno degli omaggi simili. Non farò mai più quello che ho fatto in quella lunga sequenza nella serie Haunting of Hill House, ci ha quasi ucciso, non è stato divertente, ma la cosa bella è che ora, se facciamo scene abbastanza lunghe, senza stacchi, ci sembra un gioco da ragazzi».

Avete ricostruito il set di Shining, com’è stato metterci piede?
«È stato come camminare in un museo di memorie cinematografiche. L’Overlook Hotel, grazie a Kubrick è nell’immaginario collettivo di chiunque abbia un’infarinatura di storia del cinema, così abbiamo tutti reagito nello stesso modo, attraverso due diversi stadi: il primo in cui ci sembrava di essere in chiesa, con lo stesso livello di reverenza e silenzio. Poi, una volta superato quel senso di meraviglia, rimaneva il gioco, come un ritorno all’infanzia. Un giorno, dopo le riprese, tutti quanti nel cast e fra i tecnici, hanno iniziato a fare a turno per usare il triciclo di Danny. Doveva essere lo scherzo di un attimo e sono diventate ore di corse con il triciclo. Ewan McGregor, Rebecca Ferguson, io: siamo tutti tornati bambini. Non è una cosa che capita spesso sul set».

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