Rosa Balistreri, per molte generazioni, è stata la voce del Sud. L’Amália Rodrigues siciliana, la cui voce unica ha raccontato con violenza il suo passato e gli intensi anni ’60 e ’70. Una leggenda del cantautorato italiano, raccontata ora nel film L’amore che ho di Paolo Licata. Per restituirne un ritratto quanto più completo possibile, si è scelto di ripercorre tutta la storia della sua vita e di far interpretare la protagonista a quattro diverse attrici: Martina Ziami è Rosa da bambina, Anita Pomario la interpreta quando ha circa 20 anni, Donatella Finocchiaro ne veste i panni nel suo periodo d’oro e Lucia Sardo invece porta avanti il racconto del suo rapporto con la figlia, ricucito solo verso la fine della sua vita.
Prodotto da Dea Film e Moonlight, L’amore che ho inizia nel 1990, quando Rosa Balistreri è nota a tutto il mondo dello spettacolo, dell’arte e della politica ma è già anziana e alla fine della sua carriera. Dopo tante occasioni mancate, decide di recuperare, prima che sia troppo tardi, il rapporto con la figlia Angela, adesso quarantenne, che ha sempre visto la madre come una nemica dedita soltanto alla carriera. Pur di avere un’altra chance Rosa è disposta a tutto, persino a vivere nella sporca e buia cantina di casa della figlia e ad andare in giro nei piccoli paesini dell’entroterra siciliano per guadagnarsi i soldi che le servono. E intanto riaffiorano le memorie della sua intera esistenza: dalle lunghe giornate da bambina trascorse a lavorare nei campi con il padre a quel matrimonio forzato e consumato a suon di botte, fino al successo conquistato nonostante gli innumerevoli ostacoli. Ma la sua indole è guerriera e così “la cantatrice del sud” decide di fare i conti con il passato e di combattere i suoi demoni.
In vista dell’uscita del film, nelle sale dal prossimo 8 maggio 2025, abbiamo parlato con una delle tre interpreti principali: è Donatella Finocchiaro, recentemente tra i protagonisti dell’evento benefico Best Movie Worlds, a spiegarci cosa ha significato per lei, catanese, interpretare un personaggio così vicino alle sue origini. «Finalmente un film su Rosa Balistreri! – ci dice con entusiasmo – È stato un sogno che si è realizzato: con suo nipote [Luca Torregrossa, autore del libro L’amuri ca v’haiu su cui si basa il film, ndr] ne abbiamo parlato per anni. Lui voleva trovare una produzione e Paolo Licata si è innamorato di questa idea. Io, Anita e Lucia interpretiamo le tre Rose: la raccontiamo nelle sue diverse fasi della vita. Io nel suo periodo d’oro. quello di Sanremo, degli spettacoli con Dario Fo… È stata un mito per noi siciliani: aveva una vocalità e dei vibrati unici, era un fenomeno e dentro la sua voce metteva tutta la rabbia per la violenza subita da bambina e da grande».
In L’amore che ho (nel cui cast c’è anche il volto di Mare Fuori Vincenzo Ferrera e che può contare sulle musiche di Carmen Consoli) vengono raccontate diverse tragedie, «fino al rapporto con la figlia che l’ha sempre rinnegata, perché secondo lei la madre l’aveva abbandonata in un convento, ma in realtà in quel periodo lei era stata accusata di aver ucciso il marito e le è stata tolta la bambina. Il centro del film è il racconto madre-figlia, doloroso e mai sanato nel tempo. Rosa nelle sue canzoni mette questo dolore, il suo è un canto violento, ma anche politico, perché parlava contro la chiesa e il potere», racconta l’attrice. Una storia che vale la pena raccontare, in questo momento storico: «Fare un film su rosa in questo momento significa parlare di un personaggio che attraverso l’arte ha sublimato il suo dolore, un messaggio molto importante adesso che l’arte e la cultura sono messi da parte. È catartico».
La sua è la Rosa Balistreri di mezzo, ma secondo Donatella Finocchiaro il regista Paolo Licata è stato bravo a scegliere interpreti non solo fisicamente simili, ma in grado di cogliere e lavorare sugli aspetti caratteriali che legano le diverse fasi della vita della cantautrice: «Ha trovato una somiglianza tra le inquadrature, dal mio profilo a quello di Lucia e viceversa. Ho anche passato ore di trucco per invecchiare a seconda del periodo, indossando sempre un naso posticcio per farmi somigliare di più ad Anita e Lucia. Caratterialmente ci accomuna la grinta di questa donna, femminista ante litteram, che si difendeva con la violenza perché non aveva altre armi. Cosa poteva fare per difendersi dal patriarcato di cui si parla tanto oggi?».
Per un sogno che si è realizzato, ce ne sono molti altri che Donatella Finocchiaro vuole tirare fuori dal cassetto. L’attrice è reduce da un periodo molto intenso nel quale l’abbiamo vista recitare nella serie ACAB su Netflix e nel film del duo comico siciliano I Sansoni dal titolo E poi si vede, oltre ad aver fatto parte del cast di La stranezza di Roberto Andò nel 2022. Sguardo al futuro, sono molti i progetti che la vedono impegnata: «A breve uscirà Dieci Giorni di Elisa Amoruso, dove interpreto la psicanalista che segue Miriam Leone, è un personaggio bellissimo in un bellissimo film di cui sono molto molto contenta. A giugno invece girerò un altro film, di cui invece non posso ancora parlare; è stato un anno un po’ buio per il cinema perché molti set sono rimasti fermi o sono stati rinviati. Attori e maestranze sono stati molto, troppo fermi. Speriamo di tornare ai nostri ritmi. Ma sono contenta di come sta andando la carriera: bisogna seminare bene per raccogliere e penso di averlo fatto».
Quando chiediamo a Donatella Finocchiaro chi sono i registi coi quali le piacerebbe lavorare, non nasconde l’ambizione e il fatto di avere le idee chiare su che tipo di carriera vuole continuare a portare avanti: «Quentin Tarantino e Pedro Almodovar sono i miei miti. Ma vorrei lavorare di nuovo con Emanuele Crialese [col quale ha girato Terraferma nel 2011, ndr] o altri registi con cui ho già lavorato; aspetto Matteo Garrone da sempre, mi piacerebbe anche fare un film con Marco Bellocchio oppure con qualche giovane regista da scoprire, dargli la possibilità di farsi vedere con un’opera prima fuori dalle righe».
Foto: Stefania D’Alessandro/Getty Images
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