Due ragazzi senza nome (Matilde Gioli e Matteo Martari) si conoscono nell’arco di una sola notte e decidono di fare sesso, immediatamente e senza indugi. Nel venerdì sera di una notte romana immobile e silenziosa, carica di attese e possibilità, di speranze potenziali e desideri da materializzare, i due non riescono a trovare parcheggio e continuano a girare a vuoto per ore e ore. Una stasi che lì per lì sembra impedire loro di fare sesso, ma che in compenso regala a un one-night stand in apparenza come tanti la purezza sincera e scoppiettante di un attimo sospeso e irripetibile. Sottratto allo scorrere del tempo, alla prosaicità degli obblighi del quotidiano, alle promesse sul futuro.
2Night di Ivan Silvestrini è un film puntuale e allo stesso tempo circolare: un road movie in coppia, e non certo di coppia, che fa dell’apparente e fissità, purché sia essa in movimento e in divenire, il suo punto di forza. Un love affair concentrato nell’arco di una manciata di ore, tutto in una notte, tutto e subito. Cancellando le mediazioni e gli orpelli, le menzogne e le aspettative, i convenevoli e le scorciatoie, ci si può parlare all’infinito gli uni con gli altri, in 2Night. Guardandosi negli occhi, aspettando un contatto sessuale che non si sa quando arriverà e accumulando una tensione corrosiva ma produttiva, nella quale denudarsi in maniera sferzante con le parole, i segreti inconfessabili, gli istinti.
Il regista ha il coraggio di raccontare l’ebbrezza della sessualità e della gioventù senza rintanarsi in delle semplificazioni ovattate e di comodo, come i meno temerari fanno, schermandosi di moralismi e sociologie spicciole più o meno occulte. 2Night è un punzecchiamento lungo un film, una schermaglia carica di fantasticherie smodate, imprevisti scioccanti, traiettorie insondabili. Un film onesto e sfrontato che dietro la confezione minuta e ridotta tradisce una certa dose di immediatezza e di coraggio, di ironia maliziosa e di spontanea freschezza.
Silvestrini, che col successivo Monolith ha già preso la via del sistema produttivo americano, prima del grande salto si regala una parentesi intima e raccolta, dove l’abitacolo di un’automobile diventa il pretesto per sospendere l’incredulità attraverso la ricerca di un parcheggio fin troppo impossibile. Anche se Roma, in quanto a immobilità e paludi, sa bene come non avere alcun tipo di confine. Il film da camera (o, per l’appunto, da abitacolo) di Silvestrini è però anche un chiaro omaggio in forma di peregrinazione alle notti speciali che si possono vivere a Roma, silenziando il buon senso e lasciandosi andare alle sabbie mobili e alla bellezza stritolante di una città gravida di orizzonti di sicuro non reali e tangibili ma almeno dannatamente verosimili, castrante eppure inebriante nella sua paralizzata e gravosa eternità.
Il regista, che firma il remake di un film israeliano omonimo diretto nel 2011 da Roi Werner, sceglie anche, banalmente, le facce più giuste per il suo racconto e per il gioco di caratteri che occorreva intavolare: Matilde Gioli, alle prese con una ragazza tormentata e disinibita, si concede la prima interpretazione della sua carriera in tutto e per tutto vulcanica e priva di freni inibitori, sovraccaricando il proprio personaggio di tensione erotica e lavorando sulle sfumature ombrose di una ragazza solo in apparenza solare e unilaterale. Anche il co-protagonista Martari, l’autista della situazione, ha il volto dannato e sbattuto che si conviene al suo personaggio, tutto non detti e frasi smozzicate e reticenti. Un gioco di opposti fruttuoso e dinamico che permette alla storia, soprattutto nella seconda parte, di prendere il volo senza fossilizzarsi su delle caratterizzazioni stereotipate e di trovare, strada facendo, la giusta dose di calore e di prossimità ai propri personaggi2424
© RIPRODUZIONE RISERVATA