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Edward Norton: «La popolarità? Mi ha sempre fatto paura»

L’ex Hulk ci racconta l’esperienza di Birdman e come abbia tentato di “fuggire” (senza riuscirci!) dal supereroe che lo ha reso famoso

Edward Norton: «La popolarità? Mi ha sempre fatto paura»

L’ex Hulk ci racconta l’esperienza di Birdman e come abbia tentato di “fuggire” (senza riuscirci!) dal supereroe che lo ha reso famoso

È stanco, lo si vede dagli occhi, e lui stesso non ha paura a confessarlo. Ma Edward Norton non ha perso la voglia di scherzare con i giornalisti. E non è cosa da poco, considerando che l’attore è noto per non essere particolarmente disponibile né loquace durante gli incontri con la stampa. Eppure, dopo una notte trascorsa a celebrare l’ottima accoglienza che Birdman ha ricevuto al Festival di Venezia, continua a mantenere il sorriso sfoggiato sul red carpet accanto alla moglie Shauna Robertson. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che parliamo di un film che consacra nuovamente il talento dell’ex Hulk (se ancora ce ne fosse bisogno) e che lo vede duettare insieme a un altro mostro sacro come Michael Keaton in un autentico duello di bravura.

 

Best Movie: Da dove arriva il tuo personaggio?

Edward Norton: «Dalla sceneggiatura e da Alejandro (il regista, ndr). È da lui che ho preso ispirazione. Molte delle battute di Mike Shiner, soprattutto quelle sferzanti su Hollywood, sono proprio sue. E poi mi sono ricordato di un attore, di cui non posso fare il nome, ma che è diventato una leggenda tra coloro che frequentano la scena teatrale newyorkese per le sue imprese sul palcoscenico. Un gran talento ma anche un ubriacone, di cui circolano parecchie storie divertenti, perché oltre a essere brillante era anche una mina vagante».

 

BM: Capita che personaggi come Mike, o altri che hai interpretato nella tua carriera, ti perseguitino fuori dal set?

EN: «No, sono come un cappotto che ti togli a fine giornata. Ci sono stati lavori in cui ho avuto bisogno di una maggior concentrazione, ma non mi è mai capitato di immedesimarmi anche dal punto di vista emotivo nel personaggio. Mi piace piuttosto ritrovare sul set persone con cui mi è già capitato di collaborare e con le quali ho stretto un rapporto quasi intimo, vedi l’amicizia con Wes (Anderson, ndr). Spesso è anche il motivo per cui prediligo certi progetti rispetto ad altri».

 

BM: Nel film c’è una battuta di Mike che recita: «La popolarità è la cugina zoccola del prestigio». Tu cosa ne pensi?

EN: «Che è una gran battuta, anche se non so esattamente cosa significhi (ride). Scherzi a parte, penso che la fama sia più effimera del prestigio e possa anche diventare un ostacolo nella vita quotidiana. La cosa che mi diverte di più di quella frase è che la dice proprio uno che vorrebbe essere contemporaneamente popolare e “prestigioso”».

 

BM: Quando hai accettato il ruolo non hai pensato al fattore popolarità?

EN: «No, è una questione che mi ha sempre reso nervoso. Ho deciso di prendere parte a Birdman essenzialmente per due ragioni: perché si parla di Carver, un autore che ho letto e amato molto; i suoi libri racchiudono sempre storie mitiche. E per l’esperienza nuova che questo film mi avrebbe permesso di vivere».

 

BM: Eppure, nonostante la tua poca “confidenza” con la popolarità, tu sei stato addirittura Hulk sul grande schermo.

EN: «E infatti anche in quel caso non mi sentivo completamente a mio agio. Però amavo così tanto il fumetto che non potei rifiutare. E all’epoca, tra l’altro, non mi ero ancora abituato al fatto che grandi blockbuster come quello uscivano in contemporanea in tutto il mondo. Così, dopo il debutto nei cinema americani pensai: “Ok, adesso vado a farmi una vacanza con la mia ragazza per rilassarmi ed evitare la sovraesposizione mediatica”. Decidemmo di venire in Italia, ma arrivati all’aeroporto, non solo fummo accolti da gigantesche pubblicità del film, ma il carabiniere che controllava i passaporti, non appena mi vide, disse: “Incredibile Hulko?”. E io: “Nooooo, anche qui!”. Ancora ci rido su».

 

BM: Perché in Birdman gli attori risultano più fragili delle attrici?

EN: «Una grande scrittrice americana una volta ha detto: “Se gratti via la superficie di un attore troverai un’attrice”. La verità è che io e Michael siamo le prime donne, mentre Naomi (Watts, ndr) e Andrea (Riseborough, ndr) recitano il ruolo degli attori. C’è uno scambio bellissimo tra le due quando la prima dice: “Perché ho così poca autostima?” e la seconda le risponde: “Perché sei un’attrice tesoro!”. Comunque è vero che noi attori siamo dei campioni in quanto a egocentrismo, però non è una nostra prerogativa; anche molti chirurghi e avvocati lo sono. E io conosco molti colleghi che al contrario vivono con i piedi ben piantati a terra e con umiltà, mantenendo il pieno controllo sulle loro vite. L’ego è universale, persino il Dalai Lama ne parla. E se anche lui deve combatterci… be’, siamo fregati!».

 

BM: Tu che rapporto hai con il tuo ego?

EN: «Cerco un equilibrio. Penso che ciascuno di noi corra il rischio di perdere la prospettiva e senta dentro di sé una voce – come quella di Birdman – con cui ogni giorno si deve confrontare quando si guarda allo specchio».

 

BM: La tua voce interiore cosa ti dice?

EN: «È esausta e mi ripete: “Smettila!”».

 

BM: Ti abbiamo visto sfilare sul red carpet con il tuo smartphone. Credi che i social media oggi abbiano il potere?

EN: «Non lo so. In realtà non sono la persona giusta a cui chiedere questo parere. Credo che sia un universo in continua e rapida evoluzione, che al momento è difficile – se non impossibile ­– definire e inquadrare».

 

BM: Pensi che le webstar stiano “uccidendo” le star del cinema?

EN: «Dico semplicemente che la tecnologia ha sempre rivoluzionato il nostro modo di pensare e vivere. È successo lo stesso quando è stata inventata la carta stampata e hanno iniziato a circolare i libri. E continuerà a farlo. Questo è l’aspetto più affascinante».

 

BM: Come mai negli ultimi anni ti abbiamo visto sempre meno sullo schermo?

EN: «Perché ormai cerco di lavorare con i registi che mi piacciono e di cui ho stima, come lo stesso Alejandro o Wes Anderson. Cerco script e personaggi unici, non voglio puntare sulla quantità, piuttosto sulla qualità. Un tempo forse avevo più interesse a sperimentare qualsiasi genere. Oggi non è più così. Non credo che prendere parte a quanti più progetti possibili faccia di te un attore migliore».

 

BM: Ti piacerebbe dirigere un film?

EN: «Sì, assolutamente e ci sto provando. Ma è un puzzle complicatissimo, dove devi mettere insieme il cast, i finanziamenti… È come 81/2 di Fellini!».

 

BM: Cosa ne pensi dei superhero movie di ultima generazione?

EN: «L’ultimo che ho visto è stato Iron Man 3: divertente! Comunque sostengo che il migliore fatto finora sia Matrix, perché – pur conservando l’estetica dei fumetti – è molto originale».

 

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