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Eva Green: «I maschi sul set? Molto più timidi delle femmine, si imbarazzano facilmente»

Nell'intervista realizzata a Cannes per Quello che non so di lei, Eva Green elogia senza remore il regista del film Roman Polanski e va controcorrente anche sui rapporti lavorativi con il genere maschile. Ecco un incontro che probabilmente, alcuni mesi dopo, non sarebbe stato altrettanto rilassato

Eva Green: «I maschi sul set? Molto più timidi delle femmine, si imbarazzano facilmente»

Nell'intervista realizzata a Cannes per Quello che non so di lei, Eva Green elogia senza remore il regista del film Roman Polanski e va controcorrente anche sui rapporti lavorativi con il genere maschile. Ecco un incontro che probabilmente, alcuni mesi dopo, non sarebbe stato altrettanto rilassato

Se, come nel caso dello scandalo molestie a Hollywood e della nascita del movimento “Time’s Up”, nel frattempo il clima culturale è completamente cambiato, ecco allora spuntare domande che, molti mesi dopo, non sarebbero state sollevate e discusse con altrettanta leggerezza. E così, come vedrete, nel nostro incontro con Eva Green avvenuto al Festival di Cannes 2017 per parlare del film Quello che non so di lei diretto da Roman Polanski (e scritto da Olivier Assayas), l’attrice non solo si è lasciata andare a grandi elogi nei confronti del regista su cui grava una condanna per violenza sessuale dalla fine degli anni ’70, ma ha spezzato in generale una lancia in favore di Bertolucci e degli uomini sul set in generale. Quello che non so di lei, in compenso, è una storia tutta al femminile, incentrata su una scrittrice di bestseller in crisi di ispirazione (Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski dal 1989) che stringe un rapporto d’amicizia con una fan particolarmente insistente (Green), destinato a diventare pian piano distruttivo. Al nostro tavolo, l’attrice lanciata proprio da Bertolucci in The Dreamers si presenta assecondando l’aspetto da dark lady per cui è celebre, abito e trucco neri che fanno risaltare ancor più gli occhi verdissimi.

Hai mai desiderato di diventare qualcun’altra, come ti succede nel film?
«No (ride, ndr), il mio personaggio nel film è piuttosto estremo… Non sto dicendo di non sapere cos’è l’ossessione, io stessa sono una persona abbastanza ossessiva ma Elle è quasi come un vampiro, non è del tutto a posto. Quindi decisamente no, non mi identifico con il personaggio!».

Però hai appena ammesso che anche tu sei schiava delle tue ossessioni.
«È vero, mi capita spesso, e a volte fa anche bene, perché fissarsi su qualcosa può servire a ottenerla. Il problema è quando si esagera, al punto che ogni volta che pensi all’oggetto della tua ossessione ti scoppia il cuore: non è sano, e anzi può diventare parecchio pericoloso».

Com’è stato lavorare con Polanski?
«All’inizio mi ha lasciato molto libera, ci siamo ritrovati a leggere insieme qualche scena e a camminare su quelli che sarebbero stati i set, ma in quei contesti Roman è molto alla mano, si fida dei suoi attori. Quando sale sul set cambia radicalmente, all’improvviso diventa estremamente esigente e interessato ai dettagli, vuole girare ogni scena esattamente come ce l’ha in testa. È molto diretto, non è il genere di regista che ti riempie di complimenti prima di criticarti. È pieno di passione per il cinema, è sempre presente quando c’è da girare, e mi ci è voluto qualche giorno a capire cosa volesse di preciso da me. Non è stato facile perché Elle è una figura astratta, ambigua, fino alla fine non sai nemmeno se sia reale o meno. A dire la verità, io stessa non ho ancora capito se il mio personaggio esiste oppure no».

L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di marzo, in edicola dal

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