Una famiglia a Venezia 74: il film shock con Micaela Ramazzotti sulla compravendita di neonati

Controversa accoglienza alla Mostra per il film di Sebastiano Riso, secondo italiano in concorso

Una famiglia a Venezia 74

Il secondo italiano arrivato in concorso a Venezia non è un film per tutti i gusti: Una famiglia di Sebastiano Riso è infatti un dramma coniugale freddo come il marmo, incentrato su una coppia che genera dei figli per poi venderli al miglior offerente. Sono Maria (Micaela Ramazzotti) e Vincenzo (Patrick Bruel, cantante e attore molto popolare in Francia), legati da un amore carnale dai tratti morbosi e ossessivi. La loro unione è un inferno di silenzi e tormenti, di colpe messe a tacere e azioni dedite alla compravendita di innocenti che sarebbero in grado di abbrutire qualsiasi essere umano. Sono due automi, Maria e Vincenzo: angelica e scavata lei, tozzo e animalesco lui, un orco della porta accanto. 

Il film non è perfetto, ha diverse cadute di tono che derivano senza ombra di dubbio dalla volontà di osare e di essere coraggiosi nella rappresentazione cinematografica di una tematica così shock. Riso, che già nel suo primo film, Più buio di mezzanotte, aveva dimostrato di avere un certo gusto per i toni saturi ed estremi, applicati in quel caso alla maturazione di un giovane omosessuale, si carica sulle spalle una sfida davvero insolita per il cinema italiano, nel quale non è facile trovare dei film che si propongano di guardare l’abisso con questa sfacciataggine

Una famiglia è stato accolto qui a Venezia in maniera piuttosto glaciale e controversa, con pochissimi applausi e un’indifferenza generale in proiezione ufficiale, il giorno dopo il più caloroso tributo destinato dalla stampa italiana a Paolo Virzì e al suo The Leisure Seeker (della ricezione critica del film ne abbiamo parlato a fondo qui). C’è stata anche qualche risata del pubblico in corrispondenza di alcuni momenti particolarmente intensi, probabilmente perché il pathos della recitazione e della direzione degli attori è sembrato abbastanza fuori registro. 

Una famiglia, stando a quanto dichiarato dal suo regista, si basa su tantissime storie vere, esplorate da Riso insieme ai suoi sceneggiatori in sede di scrittura: «Abbiamo avuto a disposizione una serie di intercettazioni telefoniche che ci hanno permesso di documentarci su come avviene in Italia questo traffico di bambini. Se ci fossimo dovuti attenere soltanto a quel materiale i personaggi sarebbero risultati molto freddi. A noi invece interessava raccontare una coppia, legata da una serie di dipendenze. Il prezzo che dovrà pagare il personaggio di Maria per riappropriarsi del suo corpo, in parole povere, è la libertà. Non parliamo di utero in affitto, però, il film parla piuttosto di quanto sia difficile oggi in Italia farsi una famiglia, a tutti i livelli. Non è possibile adottare se sei single, omosessuale, anche se sei sposato l’attesa è lunga e snervant ».

Micaela Ramazzotti, con il solito entusiasmo svampito e la gioia infantile nel raccontare e nel raccontarsi, si è invece soffermata sul perché di questo personaggio: «Le madri le rincorro, più sono disperate, disgraziate e vengono da mondi subalterni più le voglio fare. Le cerco, mi sento portavoce di loro. La mia Maria a malapena è madre di se stessa, va in giro con questo giubbotto di lana cotta rosa, si abbraccia come per darsi forza, per proteggersi, per tenere in grembo quel figlio che non ha mai avuto e forse mai avrà. Accanto ha un uomo che è marito, amico, amante, carceriere, padrone. Lei non ha scelto questa vita, ma ha aderito a un progetto criminale che però ne ha in mente, in serbo un altro: Maria medita un processo di ribellione, fin dalla prima scena in metropolitana a Roma. Io sono sempre dalla parte di queste donne. Non mi piacciono le eroine classiche» .

Il rapporto col regista, poi, per l’attrice si è rivelato davvero speciale: «Con Sebastiano abbiamo fatto insieme Più buio di mezzanotte. Siamo molto uniti e il suo è un entusiasmo verso di me che mi commuove, la sua forza mi dà forza e la sua spudoratezza mi fa diventare spericolata. Con lui mi sentivo Meryl Streep, è il regista più libero col quale ho lavorato. Mi piacciono la sua determinazione, la sua bruschezza. Lui ha colto una cosa di me che volevo portare al cinema: il mio lato primitivo».

«Si tratta della prima volta che vengo contattato per un personaggio così scuro, così dark – ha concluso l’attore Patrick Bruel – Sebastiano pensava fossi in grado di impersonare quest’uomo al meglio e abbiamo parlato a lungo del senso del film. Ho avuto la fortuna di poter girare questo film in italiano, con un budget modesto, con libertà».

Qui la nostra sezione dedicata alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia

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