Alla Festa del Cinema di Roma è stata la giornata di Jake Gyllenhaal: l’attore, in attesa dell’Incontro Ravvicinato che domani lo vedrà protagonista, ha presentato Stronger di David Gordon Green, intenso dramma biografico in cui interpreta Jeff Bauman, che perse entrambe le gambe in un attentato alla Maratona di Boston e divenne suo malgrado un simbolo e un eroe mediatico.
«Il copione mi è arrivato in una bozza molto iniziale – dice Jake ai giornalisti – l’ho letto e a pagina quattro mi sono trovato curiosamente a ridere per via della leggerezza con cui viene trattata una storia così tragica, e non me l’aspettavo. Jeff lo conoscevo solo da quella famosa foto che gli fu scattata all’epoca. Si tratta di una storia di resistenza, di lotta, sulla possibilità di farcela».
L’incontro col vero Bauman, che ha affiancato Gyllenhaal durante la conferenza ed è anche a lui a Roma a presentare il film alla Festa, non ha lasciato indifferente l’attore. «Mi sono sentito intimidito da lui, ha una qualità interiore enorme, una luce straordinaria. La prima volta ci siamo visti in un ristorante italiano nel nord di Boston, è un po’ come se si chiudesse il cerchio venire qui a presentare il film a Roma. Pensavo di non avere la sua forza, poi gli ho stretto la mano e mi sono trovato davanti l’essere umano più gentile e tenero che si possa immaginare e a quel punto ho pensato: sì, ce la posso fare. Mi insegna tantissimo Jeff, in ogni cosa che fa».
L’eroismo, per Gyllenhaal, non è però niente di eclatante. «Ho imparato che essere un eroe è una qualità che sta nei piccoli momenti, quei frangenti che ci commuovono, ci cambiano, ci toccano. Spesso pensiamo ai massimi sistemi, a parlare soltanto, invece esserci e a ascoltare conta più di ogni altra cosa. Comprendere qualcuno profondamente è la cosa magnifica del mio lavoro, perché puoi trovare una serie di dettagli irripetibili che magari non usi per il film lungo il tuo percorso ma che ti arricchiscono. Il monito che appresi una volta da un militare è: tratta ogni persona come se avesse un cuore spezzato, non certo come un eroe».
Il concetto di eroismo, centrale nel film in tutte le sue problematiche contraddizioni, è al centro anche delle domande che vengono rivolte a Bauman stesso. «Non mi sento un eroe, ma una persona normale. Nella scena in cui cado dalla doccia c’è tutto il dolore post-traumatico che ho vissuto. Quando sono tornato a casa la prima cosa che ho voluto è stata cacciare Erin, la mia fidanzata, nascondermi, rintanarmi in un buco. Lo fanno molti militari reduci da guerre ma anche le vittime di un attentato terroristico. Volevo solo l’isolamento, la fuga, andare alle feste a bere, non affrontare quello che succedeva nella mia vita. Jake nel portarmi in vita mi ha fatto piangere, è qualcosa di incredibile. Ho capito che è necessario lavorare su se stessi, mentre prima pensavo: vada a quel paese l’analista, andiamo tutti a bere e basta! Adesso ho una vita diversa, sono un padre, non bevo, non vado in giro per i pub. Mi sembra un passo avanti notevole e molto sano».
Impossibile non chiedere a Gyllenhaal che valore abbia, per lui, raccontare questa storia in questo preciso momento storico. «Per l’America è un momento confuso e complicato. Le storie di resistenza oggi sono fondamentali. Si tratta di un cammino verso la speranza, verso la conquista di ciò che ci rende umani, perché francamente non penso che si possa arrivare a costruire l’anima umana senza fare i conti con tutto il caos che c’è intorno. Jeff l’ha fatto, e io nel film».
La conferenza stampa si chiude con una domanda rivolta alla forza delle interpretazioni che lui e la sorella Maggie hanno scelto nel corso degli anni. «Siamo stati allevati da due persone complicate e incredibili. Per mia madre e mio padre era importante essere sicuri di avere qualcosa di grande da dire prima di fare un passo, qualcosa di più grande di te da esprimere. Ci hanno lasciato in eredità anche tanti casini, ma questa molla ci è stata inculcata e forse è proprio per questo che siamo diventati entrambi due attori».
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