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Festival di Roma, Pierfrancesco Favino si racconta: «A 40 anni arriva la maturità»

L'attore è al Festival come protagonista de L'industriale di Giuliano Montaldo, una storia di ordinaria crisi economica in cui interpreta un piccolo imprenditore la cui vita sta andando in pezzi. Ecco le sue dichiarazioni sul film, sul momento che sta vivendo l'Italia e sul mestiere dell'attore

Festival di Roma, Pierfrancesco Favino si racconta: «A 40 anni arriva la maturità»

L'attore è al Festival come protagonista de L'industriale di Giuliano Montaldo, una storia di ordinaria crisi economica in cui interpreta un piccolo imprenditore la cui vita sta andando in pezzi. Ecco le sue dichiarazioni sul film, sul momento che sta vivendo l'Italia e sul mestiere dell'attore

Terzo film italiano presentato al Festival di Roma, stavolta fuori concorso, L’industriale di Giuliano Montaldo è stato accolto positivamente alla proiezione per la stampa. Il film racconta la crisi esistenziale di Nicola, un piccolo imprenditore (Pierfrancesco Favino) la cui azienda produce pannelli fotovoltaici. Magazzini pieni di materiale invenduto, ordini che scarseggiano, pagamenti sempre in ritardo, spingono l’uomo sull’orlo di un baratro che coinvolge assieme la sua vita lavorativa e quella privata, con la ricca moglie architetto (Carolina Crescentini), Laura, che si sente sempre più distante dal marito e sempre più attratta da un giovane operaio rumeno. Il film indaga il lento disfacimento morale dell’imprenditore a confronto con il mondo di squali dell’alta finanza – banchieri, avvocati e businessman senza scrupoli  -, tutti fermi “sulla riva del fiume” in attesa di vedere passare il cadavere della sua azienda, per poterla smembrare e ricavarci un profitto. Lo sfondo e il punto di partenza è naturalmente il disagio globale in cui versa l’economia, osservato dal punto di vista di una piccola azienda del nord est italiano, che dopo 40 anni di salute per la prima volta si confronta con il rischio di fallimento.

Del film, che si rivela alla fine un thriller e che riserva un colpo di scena inaspettato poco prima dei titoli di coda, ha parlato diffusamente in conferenza stampa il suo protagonista Pierfrancesco Favino. Ecco quanto ha detto.

Possiamo dire che L’industriale è un dramma sulla crisi economica?
Pierfrancesco Favino: La crisi è talmente attuale che senza bisogno di spiegarla può essere lo sfondo di una storia. Non è quindi un film sulla crisi, ma una storia di genere che si agita in un momento di crisi.

Il tuo personaggio può essere definito un fallito?

PF: Non penso sia un fallito, piuttosto un uomo con debolezze nel privato che diventano pregi nel lavoro. L’ostinazione, per esempio, che è buona nel lavoro, diventa ottusità nella vita privata.

Cosa pensi del modo in cui si parla generalmente della crisi?
PF: Sui giornali si parla molto di soldi e poco della  vita reale. Le persone che parlano di numeri hanno il latte pagato, quelle che hanno bisogno di comprare il latte, non sono così interessate ai numeri. Il lavoro non è solo profitto, è quello che siamo. Mi spaventa che un sedicenne oggi non pensi all’università, ma a come fare soldi. Se non ci vediamo come individui ma solo come “clienti”, finiremo come stiamo finendo.

Qual è la tua posizione, in quanto attore, su questo tipo di problemi?
PF: A me il tema del lavoro è molto caro, e lo trovo sottovalutato. Io stavo già seguendo una vicenda che mi interessa, su questo argomento, anche prima di questo film, e potrebbe a sua volta diventare uno spunto interessante per un lavoro di fiction. Sento molto l’appiattimento delle identità sul profitto.

Trovi qualche punto di contatto tra te e il tuo personaggio?

PF: Personalmente mi piace molto lavorare e mi piace molto il mio lavoro, in questo mi sento molto realizzato. E penso di riuscire a distinguere le zone della mia esistenza, a differenza di quanto fa il protagonista de L’industriale,  anche se non è che ho 70 o 80 famiglie sotto di me di cui ho la responsabilità. Ho opinioni politiche precise, sono presente nella società in cui vivo, e questo interviene sempre quando recito.

Pensi che sia una delle tue interpretazioni più mature?
PF: L’interpretazione è matura perché il ruolo è maturo. Tra 35 e 50 anni viene fuori la faccia dell’attore, io ne ho 42, ed è il momento della maturità. Penso di essere un attore adulto e mi prendo la responsabilità degli eventuali fallimenti. Non siamo più la generazione degli attori giovani, basta, i giovani hanno 20 anni, non 40. Negli altri paesi del mondo i 40enni sono i primi ministri. Obama ne ha 50. Se fossimo leoni avremmo scalzato il vecchio capobranco e non mi riferisco una persona sola. A 40 anni bisogna prendersi delle responsabilità.

Il film dovrebbe arrivare nelle sale italiane nel gennaio 2012, anche se non ha ancora una data di uscita precisa.

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