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Festival di Venezia 2019, Louis Garrel e Jean Dujardin raccontano J’accuse di Polanski: «Roman, un regista-sciamano»

I due attori francesi sbarcano al Lido per presentare il film del regista polacco, racconto minuziosissimo di un caso chiave della storia transalpina

Festival di Venezia 2019, Louis Garrel e Jean Dujardin raccontano J’accuse di Polanski: «Roman, un regista-sciamano»

I due attori francesi sbarcano al Lido per presentare il film del regista polacco, racconto minuziosissimo di un caso chiave della storia transalpina

Louis Garrel e Jean Dujardin

A Venezia 76 è il giorno de L’ufficiale e la spia (il titolo originale è J’accuse), il nuovo film di Roman Polanski dedicato all’affare Dreyfus con nel cast Jean Dujardin, Louis Garrel e la moglie del regista Emmanuelle Seigner. Un titolo molto applaudito, il cui passaggio al Lido fa seguito alle polemiche dei giorni scorsi sulle dichiarazioni del presidente di giuria Lucrecia Martel. Sarà nelle sale italiane dal 21 novembre, distribuito da 01 Distribution.

Al centro della storia il racconto del celeberrimo caso della storia francese, risalente al 1894, che ebbe per protagonista il capitano di origine ebraica Alfred Dreyfus (interpretato da un irriconoscibile Louis Garrel), accusato di aver diffuso informazioni riservate ai tedeschi e fu per questo spedito all’ergastolo nell’Isola del Diavolo. Le prove a suo carico erano a dir poco deficitarie, ma l’antisemitismo imperante dell’epoca, cieco e ottuso, fece il resto e bastò a degradarlo dei gradi militari.

«Sono molto più emozionato di quanto potete lontanamente immaginare – ha detto il produttore Luca Barbareschi, che ha avuto un ruolo decisivo nella realizzazione del film, in apertura di conferenza stampa -, Questo progetto è nato molti anni fa con tanta fatica ed è di un’attualità estrema. Non essendo presente il regista Roman Polanski potrò parlare solo degli aspetti produttivi e vi chiedo la cortesia di tenere da parte le polemiche dei giorni scorsi, che non sono interessanti. La Mostra non è un tribunale morale, ma deve celebrare l’arte».

Jean Du

Nel ruolo di Georges Picquart, ufficiale dell’esercito che ebbe un ruolo decisivo nel portare alla dichiarazione d’innocenza di Dreyfus a dieci anni di distanza dallo scoppio del caso, troviamo l’attore francese Jean Dujardin, celebre per il ruolo da protagonista nel film in bianco e nero The Artist: «Avevo alcuni ricordi scolastici di questo personaggio, ma le mie idee non erano proprio chiarissime. Per prepararmi ho ascoltato Polanski, ho detto e studiato a fondo la sceneggiatura fino a diventare scemo per non perdermi nessun dettaglio. L’ho affrontato con molto pudore, tenendo a mente che la star di questo film era la storia. La stesso fa sempre Polanski, un regista puntualmente al servizio della vicenda che racconta. Auguro a tutti gli attori del mondo di lavorare con Roman, a volte sul set sa essere duro e tu ti ritrovi a essere frustrato ma poi come uno sciamano ti guida con la voce e vengono fuori grandi film».

«Un giorno sul set Polanski mi ha detto c’era qualcuno che voleva che conoscessi e ad aspettarmi c’era ragazza, che era la pronipote di Alfred Dreyfus – dice invece Garrel -, Lei mi ha raccontato che i figli di Dreyfus sono stati deportati durante la Seconda Guerra Mondiale, anche la sua discendenza ha vissuto un inferno. È una storia francese terribile, ma vedendo il film per la prima volta una settimana fa ho provato una gioia vera quando alla fine della storia la giustizia prevale. Mi ha ricordato un libro che ho letto a quindici anni in cui Tolstoj si chiedeva: “Che cosa è l’arte?” A questa domanda lo scrittore rispondeva: L’arte deve dare voglia di fare il bene».  

Il caso di Dreyfus, nel quale giocò un ruolo decisivo anche il famosissimo articolo J’accuse dello scrittore transalpino Émile Zola che dà il titolo al film, anticipò di fatto il dramma chiave del XX secolo, l’Olocausto, come ricorda il produttore Alain Goldman. La Seigner, invece, si esprime così a proposito del film del marito, con cui festeggia proprio oggi il trentesimo anniversario di matrimonio: «Per me è difficile mettermi nei panni di Roman anche se la nostra è un’unione di lunga data. Posso dire però che il senso di persecuzione che spesso si ritrova nei suoi film viene dalla sua vita. Come regista è un uomo preciso, meticoloso con le inquadrature, ma che lascia tanta libertà agli attori. Questo thriller politico è il sesto film che che facciamo insieme e solo ora comincio ad abituarmi al suo modo di girare».

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Foto: Getty

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