Venezia 73, ecco il war movie di Mel Gibson sulla rotta per l’Oscar. La recensione di Hacksaw Ridge

Racconta la storia di Desmond Doss, il primo obiettore di coscienza americano a ricevere la Medaglia d'Onore, il più alto riconoscimento all'eroismo militare

La parte meno bella di Hacksaw Ridge – quella più confusa, anche registicamente -, arriva proprio alla fine, ed è una lunga sequenza al rallentatore, in montaggio alternato, che dovrebbe suggerire la risoluzione del conflitto e suggellare il destino dell’eroe.

Per giudicare il nuovo lavoro di Mel Gibson conviene quindi lasciar depositare per qualche ora le impressioni, e poi provare a districarsi dentro la memoria del film, tra retorica religiosa, costruzione drammatica e messa in scena di genere. E qui la scelta è facile: diffidiamo della prima, trascuriamo la seconda e sbalordiamo di fronte alla terza; perché al netto della solita mistica gibsoniana, costruita su figure cristologiche che si sacrificano per il mondo (anzi, per la loro idea di mondo), e al netto delle psicologie elementari dei protagonisti (i commilitoni sono quasi tutti figurine), ci resta quasi un’ora di cinema di guerra straordinario.

La storia è quella di Desmond Doss, che a ventitré anni, in piena Seconda Guerra Mondiale, si arruola nell’esercito come obiettore di coscienza e ufficiale medico, rifiutando di prendere in mano qualsiasi arma, ma deciso a sostenere lo sforzo bellico contro i giapponesi nella battaglia di Okinawa. Il film spezza il racconto in due metà che sono altrettanti cliché: prima l’addestramento in caserma, con compagni e superiori che tentano in tutti i modi di farlo desistere; poi la guerra vera e propria, in cui Desmond dimostra il proprio coraggio, distinguendosi in atti di straordinario eroismo e guadagnandosi la Medaglia d’Onore.

Si tratta in un certo senso di un cinema ridotto ai minimi termini, nella convinzione che l’epica basti a sé stessa – non c’è nessuna ricerca formale che metta in ombra la storia o in difficoltà lo spettatore, che viene blandito e imboccato, poi stordito e commosso. È un cinema molto classico e molto potente, ti obbliga alla passività, e lo fa seguendo codici fuori dal tempo, intoccabili.

Mel Gibson rifiuta ad esempio completamente la tentazione dell’estetica da reportage 2.0 nella costruzione dell’azione sul campo, la modernità caotica e iperrealista che coinvolge quasi tutti i blockbuster contemporanei, compresi quelli fantasy: lo si può quindi accusare di essere manipolatorio ma non gli si può negare in ogni caso l’abilità pura da filmmaker, che in sequenze “quiete” come quella del sogno notturno di Desmond si dispiega con una naturalezza scontata solo in apparenza.

In definitiva Hacksaw Ridge è un efficiente dispositivo di suggestione, e andrebbe al contempo decostruito e goduto. Ha momenti di grande bellezza e un orgoglio della Storia – quella del cinema, quella della nazione, e quella del singolo uomo che l’ha vissuta – che a difese abbassate facilmente vi commuoverà.

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