Future Film Festival: applausi scroscianti per From up on Poppy Hill

Presentato a Bologna il nuovo film dello studio Ghibli, firmato dal figlio di Miyazaki: ecco le nostre (poco ortodosse...) impressioni

Al Future Film Festival di Bologna è appena terminata la proiezione di From up on Poppy Hill di Goro Miyazaki. Ecco le nostre impressioni a caldo

C’è una folla immensa che aspetta di entrare nella sala Mastroianni per godersi From up on Poppy Hill, nuovo film dello Studio Ghibli su cui grava la firma prestigiosa di Goro Miyazaki, il figlio di Hayao che esordì nel 2006 con il mediocre I racconti di Terramare. Una fila lunghissima, che comincia ben fuori dal cinema, a testimonianza dell’attesa per questa nuova favola animata che, promette chi l’ha già visto, è molto più personale e autoriale della precedente fatica di Miyazaki jr.

Il film comincia con un lieve ritardo, (anche) perché introdotto da Gualtiero Cannarsi, direttore del doppiaggio italiano di tutti i lavori dello Studio Ghibli. Il quale racconta come questo film sia tratto da una graphic novel degli anni ’60, «un periodo particolare per il Giappone, ed è un film che parla ai giapponesi anche oggi e dà loro il messaggio che bisogna essere fieri della propria nazionalità, del proprio Paese. Non è facile capirlo se non si viene da quel Paese».

E forse è per questo che noi non siamo convintissimi del vero valore di From up on Poppy Hill – anche se per dovere di cronaca va detto che forse siamo gli unici in tutta la sala a pensarla così, a giudicare dall’applauso scrosciante che accompagna i titoli di coda. Il film racconta le vicende di Umi e Shun, orfana di padre e la cui madre studia in America lei, figlio di un marinaio lui. Lei ogni mattina issa una bandiera per mandare un messaggio al padre disperso, nella (vana?) speranza che lui risponda, lui preferisce pensare al giornalino scolastico e a salvare il Quartiere Latino, un edificio che sorge a fianco della sua scuola e nel quale tutti i ragazzi si incontrano per studiare le proprie materie preferite e per fare un po’ di baldoria. “Salvarlo” perché il progetto del preside è di abbatterlo e costruirne uno nuovo, più moderno e accogliente: qualcosa a cui gli studenti si oppongono, perché «la nostra storia va preservata». Non è l’unico cenno all’attualità giapponese postbellica: Miyazaki esplora temi come la situazione degli orfani di guerra e la vita rurale opposta a quella cittadina, ma lo fa (ed è qui il problema) all’acqua di rose.

Più che un film, From up on Poppy Hill è una collezione di quadretti – deliziosamente tratteggiati (anche se ormai i cartoon dello Studio Ghibli cominciano ad assomigliarsi un po’ tutti), ma pur sempre quadretti. Alcuni più potenti, altri quasi anonimi, più in generale molto innocui: c’è una (blanda) storia d’amore di mezzo, c’è il subplot del “salviamo il Quartiere Latino”, c’è la vita della famiglia di Umi. Tutti collegati, certo, ma nessuno di questi crea un vero senso di progressione narrativa o di tensione di qualche tipo. È un cartoon quasi realista (nonostante certe soluzioni narrative improbabili sul finale), verrebbe da dire naturalista: uno studio sui personaggi appena accennato ma molto romantico, delicato ai limiti dello zuccheroso. Forse siamo noi troppo abituati alla scansione in tre atti e all’utilizzo di funzioni narrative come l’antagonista, il deuteragonista, la rottura dell’equilibrio: fatto sta che From up on Poppy Hill scorre più che trascinare, portando con sé persino un po’ di noia.

Non mancano ovviamente alcune sequenze straordinarie, come non mancano le risate e la lacrimuccia di commozione verso la fine. Ma non è abbastanza, quello che manca è il guizzo, o forse la chiave di lettura giusta: se dal Giappone arriveranno reazioni entusiastiche e si parlerà di “nuovo classico” avremo capito di aver sbagliato tutto nel giudicare From up on Poppy Hill. Per ora, quello che ci rimane è un film d’animazione interessante, gradevole da guardare ma che, appena usciti dalla sala, svapora con la luce del Sole.

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