Godzilla, faccia a faccia con Bryan Cranston: «Era la cosa migliore che potesse capitarmi dopo Breaking Bad»

Abbiamo incontrato il protagonista del monster movie di Gareth Edwards a Londra, in occasione della première europea del film

Quando dal palco di Leicester Square, costruito appositamente per la première europea di Godzilla (leggi la nostra recensione), la presentatrice annuncia il suo nome, il pubblico esplode in un urlo che spaventerebbe persino Godzilla stesso. Non stiamo parlando di Aaron Taylor-Johnson e neppure di Elizabeth Olsen, i due divi in ascesa che vedremo il prossimo anno nel nuovo Avengers, ma dell’altro mostro (di bravura, stavolta) protagonista del nuovo film del regista inglese Gareth Edwards (Monsters): lui è Bryan Cranston, vero e proprio idolo delle folle, tra gli attori più venerati dell’ultimo decennio.
Dopo cinque anni trascorsi da protagonista del piccolo schermo nell’indimenticabile ruolo di Walter White in Breaking Bad, l’attore americano ha scelto di prendere parte a questo blockbuster che riporta al cinema la creatura della Toho interpretando uno scienziato costretto a confrontarsi – e battersi – con qualcosa di molto più grande di lui (vi ricorda qualcosa?). Tra scene d’azione spettacolari, magnifici effetti speciali e grandi performance (nel cast ci sono anche Ken Watanabe, Juliette Binoche e Sally Hawkins), il regista è riuscito anche a trovare il modo di raccontare la storia di un padre e un figlio separati da un grande dolore. Bryan Cranston giunge sul tappeto rosso in giacca e cravatta e si guarda intorno con curiosità, dispensando sorrisi alle telecamere e alle centinaia di persone che lo attendono pazientemente da ore.

«Ho sempre amato venire qui a Leicester Square: questa è davvero la capitale delle premiere cinematografiche in Europa. È vero, si bloccano un po’ di strade e si crea qualche piccolo incoveniente, ma del resto ci sono molti altri aspetti positivi: una premiere è un evento che porta con sé molta eccitazione ed entusiasmo. Ho parlato con un po’ di persone che sono venute appositamente qui per vedere un po’ di star e sentire l’atmosfera glamour che si respira in queste occasioni. È una cosa buona anche per l’economia, mi piace».

Da Breaking Bad a Godzilla: due progetti estremamente differenti ma che, forse, hanno qualcosa in comune.
«Esattamente. Vuoi sapere qual è la cosa in comune? L’attenzione che si dedica ai personaggi. Il personaggio è importantissimo: se non è credibile, se non ha spessore emotivo, se al pubblico non interessa che egli viva o muoia, allora non ci sono le basi per il film. Quando ho finito di girare Breaking Bad mi sono posto subito la domanda principale che attanaglia tutti gli attori che hanno lavorato a qualcosa di eccellente: cosa fare dopo. Ti arrivano centinaia di proposte e devi valutare accuratamente. Dopo aver partecipato a una serie così curata e ben scritta non potevo passare a nulla di inferiore da un punto di vista qualitativo. E poi, un giorno, mi è arrivata la proposta di Godzilla, che è un grande film di mostri, sì, ma che ha anche una sua anima. Quando ho visto il film finito per la prima volta ho pensato che fosse pazzesco. Semplicemente pazzesco».

Che cosa ti ha colpito del tuo personaggio?
«La sua forza e la sua tenacia: Joe Brody è uno scienziato e, in quanto tale, crede che debba esserci una risposta per ogni cosa, almeno da un punto di vista scientifico. Per questa stessa ragione non può accettare di non capire cosa si nasconda dietro alcuni eventi misteriosi che vengono raccontati nel corso del film. Inoltre subisce una perdita tragica che lo porta a concentrarsi ancora di più, sia intellettualmente che fisicamente, su questa perenne ricerca della verità».

Che cosa deve aspettarsi il pubblico da questo film, oltre al grande divertimento?
«Storicamente Godzilla ha sempre avuto anche una forte componente metaforica e il film di Gareth Edwards fa la stessa cosa. La figura del mostro pone alcune domande importanti: per quanto tempo ancora gli esseri umani potranno spingersi oltre i limiti di Madre Natura prima che questa decida di respingerci indietro? Dev’esserci un equilibrio; ironicamente, Godzilla rappresenta proprio quell’equilibrio. Rispetto al passato, il nostro film onora le intenzioni del Godzilla originale degli anni ’50, che voleva raccontare anche alcune problematiche sociali».

Qual è il tuo approccio quando lavori ad un film di queste proporzioni? Fare parte di un grande blockbuster può spaventare un attore del tuo calibro?
«Diciamo che, sia che si tratti di una piccola storia oppure di un kolossal, sei sempre preoccupato di vedere come sarà il prodotto finale. Perché in realtà noi attori non abbiamo mai alcun controllo sul film. Possiamo controllare le nostre performance e cercare di dare il meglio, ma fino ad un certo punto, perché poi saranno il regista e i produttori a decidere quali scene utilizzare – e magari finiranno per scegliere proprio quelle che a noi non erano piaciute. L’idea del controllo è un’illusione».

So che sei sempre stato un fan di Godzilla.
«Sì, da bambino ne andavo pazzo! Quando avevo sette anni avevo dei pupazzetti di Godzilla di queste dimensioni (ci dice misurando una distanza di quattro o cinque centimetri con pollice e indice, ndr). Hai presente quando, da piccolo, sei affascinato dalle cose che tua madre tiene nella credenza? Io rubavo bicchieri e scatoline e correvo fuori, dove li riempivo di terra e poi li usavo per creare delle formine. Ecco, nella mia immaginazione quelle formine erano delle vere e proprie città. Poi naturalmente arrivavano i miei piccoli Godzilla e distruggevano tutto, calpestandole fino a ridurle in macerie di sabbia».

Quindi Godzilla era uno dei mostri che ti piacevano di più?
«Non era uno tra i tanti: Godzilla era il mio mostro preferito in assoluto. E aver avuto la possibilità di essere tra i protagonisti di un film su di lui… Beh, è semplicemente fantastico. A differenza di King Kong, che aveva comunque qualcosa di “umano” nell’aspetto (le orecchie al posto giusto, il naso in mezzo agli occhi), Godzilla faceva molta più paura. Un vero mostro distruttore che era, soprattutto, indistruttibile».

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