I primitivi: con il calcio è tutta un’altra preistoria. La recensione del film d’animazione Aardman

Un film inferiore alle vette della Aardman Animations, più rivolto al pubblico dei bambini e meno sperimentale del solito

I primitivi, la recensione

All’alba dei tempi, il primitivo Dag e la sua tribù, composta da una serie di energumeni rozzi ma simpaticissimi, vivono in una valle lussureggiante, dedicandosi alla caccia al coniglio, del quale tuttavia strambi come sono non si cibano, e ai frutti della loro terra (sui mammut c’è il divieto). La loro oasi di preistorica tranquillità viene però sconvolta dal passaggio dall’Età della Pietra all’Età del Bronzo, una transizione tutt’altro che indolore. Per preservare il proprio pezzo di terra, Dag, il fido cinghiale Grugno e i suoi amici dovranno infatti imparare a giocare a calcio per sfidare il dream team di quella parte di umanità che ha già conosciuto il progresso…

Dag, Grullo, Gordo, Barbo e tutti gli altri personaggi dell’ultimo film della Aardman Animations, I primitivi, sono delle maschere abbastanza in linea con la casa d’animazione britannica, con le sue prerogative visive e la sua idea di comicità (sono brutti, sgraziati, ad ogni modo irresistibili). Dei personaggi che vivono di gesti puri e semplici e che soprattutto nel prologo del film, praticamente uno scoppiettante cortometraggio a sé stante, sono tratteggiati attraverso una manciata di trovate fulminanti.

Il design degli uomini primordiali e dei loro utensili rivela molto del tocco e dell’ispirazione della scuderia degli autori di Wallace & Gromit e Galline in fuga, capitanati in questo caso da Nick Park, regista e nome di punta della Aardman, abituato a sfornare piccoli grandi capolavori in clay-animation, ovvero la plastilina a passo uno. Sono dei naïf, questi primitivi, spesso sembrano perfino degli scemi, ma anche il villain di turno non è da meno, vale a dire il malvagio Lord Nooth, doppiato in italiano con un incredibile mix linguistico e un’insopportabile e germanofona voce da cattivo dal Salvatore Esposito di Gomorra – La serie (la versione originale è più francofona, strizzando l’occhio alla rivalità tra inglesi e francesi). 

I primitivi, però, è complessivamente inferiore alle vette della Aardman e alla loro unicità, che corrisponde a un’idea di cinema ambiziosa e adulta, colta e persino sfacciata: Shaun, vita da pecora – Il film (2015) in tal senso è l’esempio recente più indicativo del genio della Aardman, un film puramente slapstick in cui la creatività a briglia sciolta era così scatenata da poter fare a meno anche dei dialoghi.

Le gag ardite e sinceramente spassose non mancano nemmeno qui, ma in tutto il progetto c’è una leggerezza in questo caso puramente e forse esclusivamente infantile, che si rivolge ai più piccoli con estrema padronanza dei propri mezzi ma non ha il coraggio, fatta eccezione per il prologo descritto poco sopra, di lavorare appieno sulla fucina di trovate che l’ambientazione preistorica avrebbe potuto portare con sé.

Ne I primitivi hanno la meglio le morali sempliciotte e immediate, a uso e consumo di un pubblico di bambini: lo spirito di squadra dei personaggi più buoni e grossolani che batte l’individualismo sfrenato dei progrediti, ovviamente altezzosi e poco inclini ad aiutarsi a vicenda, l’intervento risolutivo di una ragazza che incredibilmente gioca a calcio meglio di tanti uomini (Ginna, che azzera le distanze di genere), il generico invito all’unione che fa la forza.

Ci sono tante parodie (dalla moviola ai telecronisti), tanto sarcasmo, un’intelligenza stralunata e sgraziata che riempie gli occhi (la qualità visiva dell’animazione è come sempre appagante) e una finezza umoristica che è molto inglese e che trova una dimensione ancor più precisa e puntuale, com’è facile immaginare, nel doppiaggio originale, con in più qualche stoccata pro-Brexit.

Manca tuttavia la libertà di tanti, precedenti film della Aardman, il gusto scatenato dei suoi autori nel far convivere divertissement traversale e vocazione quasi sperimentale, termine usato di questi tempi spesso a sproposito ma che nel loro caso è tutt’altro che fuori misura. Il più grande limite forse, a pensarci bene, è proprio il calcio, rappresentato con un’estetica da gladiatori e da arene. Già di suo, probabilmente, il meno cinematografico e il più letterario degli sport, fatto di trame avvolgenti e di colpi di genio improvvisi e inaspettati, che la pagina scritta sa catturare e far decantare molto meglio dell’immagine in movimento, col quale esso inevitabilmente finisce sempre per rivaleggiare.

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