Il gigante gentile travolge Cannes! La recensione del nuovo capolavoro di Spielberg

Il film è girato con tecnica mista, live action e performance capture, e racconta l'amicizia tra un'orfana e una creatura capace di catturare i sogni

PREMESSA
Un anno fa, a Cannes, si celebrava (noi compresi) l’ultimo capolavoro della Pixar, Inside Out, un film d’animazione basato su una storia originale, approfonditi studi di psicologia del’infanzia e una impressionante proliferazione di scenari fantasy, con la mente della protagonista – e una serie di concetti legati alle scienze cognitive – trasformati in ambienti multiformi e colorati. Un’impresa titanica con esiti eccellenti, un umorismo in grado di agire a livelli diversi (e quindi di comunicare a generazioni differenti), chiavi di lettura intelligenti e, ciliegina sulla torta (almeno per la produzione…), un ottimo veicolo di vendita dei pupazzi con le fattezze delle 5 emozioni personificate nel film.

Il riferimento serve a puntare l’attenzione sulle sofisticazioni intellettuali a cui il cinema Disney/Pixar sembra ormai legato da anni – Zootropoolis con il suo discorso sui rapporti di classe, o il ribaltamento completo della prospettiva antropocentrica in Il viaggio di Arlo, sono altri buoni esempi -, sia per ragioni industriali che per semplice evoluzione della linea editoriale della Disney. Si è però spostata così in avanti l’asticella del linguaggio in questi film, che viene il dubbio ci sia sia dimenticati del valore sociale “primitivo” delle storie, al di là e al di fuori della loro lettura politica e realista, al di la del loro sviluppo tecnico, al di là del loro potenziale commerciale – una china che ad esempio Miyazaki ha sempre rifiutato (ed è la ragione per cui i suoi film sono sembrati, negli ultimi anni, un’alternativa, finendo per godere di una grande ammirazione anche negli esiti più datati o meno fortunati).

IL GIGANTE GENTILE
Questa lunga premessa non va mal interpretata, ovviamente Spielberg non è un poeta di strada che scrive con vecchi pastelli su fogli di carta ingiallita, ma Il gigante gentile è un racconto per ragazzi che riconcilia con il piacere dell’ascolto e dello sguardo, un’opera narrativamente devoluta e apparentemente candida (per Spielberg, ci sentiamo di poter spendere l’aggettivo). Tratto da un romanzo per l’infanzia di Roald Dahl, racconta la storia di Sophie, una bambina insonne che vive in un orfanotrofio, e una notte, curiosando qualche istante di troppo fuori dalla sua finestra, viene rapita dal gigante del titolo, che la porta nella terra dei giganti, dove di lavoro raccoglie i sogni dagli alberi, per distribuirli di notte alla gente. Vegetariano e maniaco di un intruglio verde che gli induce dei peti fragorosi, vive però circondato da creature ancora più grandi di lui, sciocche e carnivore, che minacciano Sophie, e forse non solo…

Nonostante il film sia girato con l’uso della performance capture, la CGI non va oltre le ragioni del contesto (il conflitto “dimensionale” tra Sophie e il mondo fantastico in cui si ritrova), ed anzi in certi punti ha un’aria un po’ impacciata (come quando il gigante corre e salta tra gli alberi, a inizio film). Si tratta poi di un approccio misto, alle volte è la bambina a ritrovarsi in uno scenario fantastico, e alle volte è il gigante che si infila nel nostro mondo “live action”, tanto che i primi riferimenti che vengono in mente sono film come Mary Poppins o Pomi d’ottone e manici di scopa, dove questo passaggio continuo (lì si trattava ovviamente di attori in carne e ossa in scenari bidimensionali disegnati, e viceversa) rappresenta la permeabilità tra la realtà e il sogno. Punti di contatto si intravedono anche con il cinema di Miyazaki stesso (la presenza buffa e silenziosa degli animali domestici, la ricerca di un equilibrio tra uomo e natura, la naturalezza con cui impossibile e reale si fondono) e più in generale con tutta la narrazione dei classici Disney (La pianta del fagiolo magico, Alice nel paese delle meraviglie).

Ma sarebbe anche ingiusto non riconoscere il merito e la firma di chi su questo tipo di stupore, di fiducia nelle storie come una medicina e un rifugio, ha costruito la propria professione e la propria vita, cioè Roald Dahl e Steven Spielberg.

Qui le dichiarazioni di Spielberg sul film durante la conferenza stampa di presentazione a Cannes

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