#ilmiocinema a Venezia 72: la recensione di Black Mass di Claudio Di Biagio

Il film con Johnny Depp è un riassunto stilistico e narrativo ben strutturato di tutto quello che ci piace

Il cinema che compie il giro nel suo genere e ricomincia a tracciare la stessa linea, tante e tante volte. Anche troppe. Black Mass con Johnny Depp è un riassunto stilistico e narrativo ben strutturato di tutto quello che ci piace e abbiamo visto da Scorsese a Brian De Palma, citando I più famosi anzi famigerati, dunque non serve assolutamente a niente. Come direbbe Giorgio Viaro serve a far girare un’economia cinematografica di un’America non troppo tranquilla; resta un passo, però, troppo piccolo nel genere del gangster movie d’otreoceano.

Johnny Depp truccatissimo e laido come non mai che convince solo perché è molto bravo e fortunatamente non si dimentica di esserlo. La trama? Uno dei più grandi boss mafiosi americani, precisamente di Boston, che patteggia con l’FBI e riesce a diventare potente, temuto, inarrestabile.

Ci sono le musiche anni 70, ci sono i carrelli sulle scene di poliziotti intenti ad ascoltare le registrazioni dei mafiosi italiani, ci sono le auto color beige parcheggiate con dentro mafiosi pansoni da eliminare con la pistola con il silenziatore o con un mitra, c’è il sangue sui vetri, ci sono I dialoghi con il boss al bar che fa capire chi comandi, ci sono i cheeseburger, le mogli in cucine con carta da parati, c’è la periferia e le scene davanti allo skyline con I due che parlano di affari.

Insomma, c’è tutto: proprio per questo, come detto all’inizio, non c’è niente di nuovo.

Gli attori sono tutti formidabili, anche se non capisco la scelta di un inglese (Benedict Cumberbatch) per interpretare un americano di Boston. Attori formidabili, dicevo, struttura debole e poca maestria ad approfittare degli strumenti messi a disposizione.

Quando si ha la possibilità di accedere ad una produzione del genere, un film di questa portata, la prima domanda da farsi, essendone il regista, è: sono in grado di lasciare il segno avendo tutte queste carte da giocarmi? Sarò ricordato come sarà ricordato il film? O almeno uno dei due rimarrà nella storia?

Ecco, il regista di questo film, Scott Cooper, non risponde positivamente a nessuna di queste domande e il suo film, come il suo taglio, non rimarranno a mio parere nella storia del genere.

Ci sono sequenze che hanno una ragione di esistere e uno stile positivo: c’è una scena dove vediamo e capiamo la follia del personaggio di Jimmy Bulger, il gangster interpretato da Johnny Depp; siamo a cena con i poliziotti con cui lui patteggia e in un dialogo su una ricetta di una bistecca Depp riesce a immobilizzare i personaggi e lo spettatore per il terrore che incute con i suoi occhi chiari (più chiari dei suoi veri occhi) e la sua voce rovinata dalla droga. Non ci sono molte altre occasioni come questa nel film e questo è il vero peccato.

Si aveva la possibilità di un attore istrionico e mutevole, una storia non troppo appassionante ma vera e quindi potenzialmente funzionale, un cast stellare e si poteva fare il passo che Scorsese e company aspettano da molto tempo.

Cooper non ci riesce, non arriva minimamente alle vette raggiunte da Russell (American Hustle) e realizza un film inutile, d’intrattenimento leggero, non brutto ma nemmeno bello, come ha detto il mio amico Tiko dei Cool and the Game “innocuo”.

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