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«Io, Margot»

Dopo essere stata Harley Quinn e la Jane di Tarzan, Robbie ha messo in piedi una società di produzione con cui ha realizzato Tonya, un biopic tragicomico in stile Coen per il quale ha imparato a pattinare allenandosi cinque ore al giorno per quattro mesi. Un film e una performance che l'hanno lanciata nell'Olimpo delle grandi interpreti hollywoodiane, ma anche delle imprenditrici cinematografiche più illuminate

«Io, Margot»

Dopo essere stata Harley Quinn e la Jane di Tarzan, Robbie ha messo in piedi una società di produzione con cui ha realizzato Tonya, un biopic tragicomico in stile Coen per il quale ha imparato a pattinare allenandosi cinque ore al giorno per quattro mesi. Un film e una performance che l'hanno lanciata nell'Olimpo delle grandi interpreti hollywoodiane, ma anche delle imprenditrici cinematografiche più illuminate

«Quando Tonya Harding fu coinvolta nell’aggressione alla sua rivale Nancy Kerrigan avevo solo quattro anni. Non sapevo chi fossero quelle pattinatrici, e forse è anche per questo che quando ho letto la sceneggiatura non avevo pregiudizi di sorta, ma ho pensato solo che dovevo assolutamente fare questo film!». Così Margot Robbie, 27 anni, parla di Tonya (in sala dal 22 marzo) e del ruolo che potrebbe dare una svolta alla sua carriera imponendola finalmente come protagonista assoluta, dopo le varie Naomi Lapaglia (The Wolf of Wall Street) e Harley Quinn (Suicide Squad) che hanno mostrato quanto il suo volto e il suo talento sappiano bucare lo schermo.

«La sceneggiatura era scritta benissimo, forse la migliore letta in carriera – ci racconta Robbie – Per questo oltre che interpretarla ho deciso di produrla, con la mia società (la LuckyChap Entertainment, ndr.): in realtà è il secondo film che facciamo, ma sarà il primo a uscire. Quando cerchi i soldi di solito spieghi la storia ai possibili finanziatori con formule ritrite: “è un misto d’azione e commedia” oppure “è una vicenda romantica in un mondo fantastico”. Ma questo film era difficile da definire…».

Infatti il regista Craig Gillespie mi ha raccontato di aver dovuto fare un provino con te per essere scelto…
«(Ride, ndr) È stata una specie di rivincita, visto che di solito sono io ad andare alle audizioni! In verità è stata una fase divertente ma anche delicata, perché dovevamo scegliere la persona giusta. Avevamo una lista di 150 registi, e ci siamo basati anzitutto sui film precedenti. Di Craig avevo adorato Lars e una ragazza tutta sua, mi piaceva la sua capacità di tenere in equilibrio dramma e commedia, in modo sottile e sofisticato. C’erano alcune situazioni assurde in quel film, ma talmente genuine da emozionarti».

E come ha ottenuto la “parte”?
«Abbiamo parlato del film ed è stato l’unico a capirne il tono. Altri al suo posto avrebbero giudicato i personaggi, bollandoli come “white trash”, ma lui li ha trattati da subito come persone con cui voleva empatizzare, come li avevo visti io. La cosa che mi ha colpito è stato constatare come certe situazioni, che lette nella sceneggiatura potevano sembrare assurde, erano in realtà quasi esattamente ricalcate su documenti filmati. E poi Craig aveva in mente tutta una serie di proposte, fatte di inquadrature precise, per comunicare certe emozioni al pubblico».

L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di marzo, in edicola dal

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