Sono passati nove anni dall’ultima volta che abbiamo visto Jason Bourne. L’abbiamo lasciato con la memoria recuperata, la vendetta compiuta, un proiettile nel- la schiena e un’occasione perfetta per farsi una nuotata liberatoria verso una nuova vita, nascosto da tutto e da tutti. Sapevamo che non poteva durare, soprattutto dopo l’accoglienza tiepidina riservata all’amico Aaron Cross (Jeremy Renner) che aveva provato a raccoglierne l’eredità nello spin-off Legacy (2012).
Ma cos’ha fatto Jason Bourne in tutti questi anni? Il trailer di – appunto – Jason Bourne ce lo mostra subito: palestra. Tanta palestra.
E ha menato gente per soldi. Sì, perché Bourne, insieme a pochi altri (per esempio Jack Reacher), è uno degli ultimi rappresentanti cinematografici dell’eroe di poche parole e molte botte che fino a un paio di decenni fa imperversava a Hollywood, e che ora sembra sovrastato dalle squadre di picchiatori, in costume e non.
Stallone, Schwarzenegger, Mel Gibson, Chuck Norris, Van Damme, Steven Seagal: il tipico eroe action degli anni ’80 era quello che appoggiava mani in faccia senza pensarci troppo e, nel caso sapesse recitare (quindi Chuck era esente), ci aggiungeva la battutina spiritosa. Per essere al top negli anni ’80 dovevi quindi avere un fisico scolpito, o credibilmente atletico, o essere un vero campione sportivo (e qui Chuck rimediava battendo tutti). I primi pruriti antimachisti però sbucano già allora, e vengono sfogati principalmente da un uomo: Steven E. de Souza. Il signor de Souza tanto per cominciare sbanca i botteghini inventando il buddy cop movie con 48 Ore; poi scrive Commando, un’autoironica esasperazione del genere che ha quasi più debiti con Bud Spencer che con Rambo; infine regala al mondo Die Hard, in cui il protagonista è un insospettabile comune poliziotto mortale nel posto sbagliato al momento sbagliato, interpretato da Bruce Willis. Che c’è di strano, dite? C’è che all’epoca Bruce Willis era principalmente un comico, una specie di versione meno palestrata di un Chris Pratt o un Bradley Cooper. E il buffo è che nonostante le gag autocommiseranti Willis fu talmente credibile nel ruolo da farcisi divorare e diventare in poco tempo un osannato action hero a tutti gli effetti, e ad oggi addirittura una delle icone più archetipiche del genere.
Negli anni ’90 l’allergia ai duri e puri si espande: i film che sfondano al botteghino sono di altro tipo (per lo più kolossal dagli effetti speciali all’avanguardia) e il genere sfuma lentamente. Il colpo di grazia viene dato dall’arrivo di Vin Diesel e Dwayne “The Rock” Johnson: sembrano gli eredi naturali di Stallone e Schwarzenegger ma, sul più bello, abbandonano la nave e con successo altalenante – iniziano a dedicarsi a drammi e commedie per famiglie. Diversificano. Si riparano.
Quando esce The Bourne Identity, nel 2002, sembra a prima vista la presa in giro definitiva: già si comprendeva a fatica un Matrix in cui l’abilità nel kung fu di Keanu Reeves era generata al computer, e ora toccava sorbirsi un action affidato a Matt Damon? Matt Damon, il bidello secchione acchiappa-Oscar? Matt Damon, quello che se si sbarca in Normandia poi tocca disturbare un plotone apposta per andarlo a salvare?
E invece, all’incirca al minuto 10, Jason Bourne si ritrova seduto solo e sconsolato a una panchina. Gli si avvicinano due poliziotti, e gli fanno brutto. Tre secondi dopo sono entrambi a terra privi di coscienza, e Bourne ha una pistola in mano. Come ha fatto? Ancora non lo sa, ma prima o poi gli verrà in mente. La caratteristica principale di Jason Bourne è la sua conoscenza tattica: sapersi muovere in situazioni di pericolo, saper muovere gli altri in mezzo al pericolo, sapere in anticipo come si muovono le persone pericolose. Ma il suo bello è che, quando le vie di fuga non esistono, può contare sulla prima cosa che si è risvegliata in lui dopo l’amnesia: un’abilità micidiale nelle arti marziali. Jason Bourne è un esperimento della CIA atto a creare l’assassino perfetto: in quanto tale, l’arte marziale di competenza non può essere pescata a caso. Il focus dev’essere sulla praticità, la concretezza, la velocità di esecuzione, il massimo risultato col minimo sforzo, l’applicazione in un contesto reale non sportivo, la costante attenzione all’ambiente circostante per usufruire di un qualsiasi oggetto a portata di mano nel modo più letale possibile (…)
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Foto © Universal Pictures
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