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La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo: «La nostra periferia dove Pasolini incontra Burton e Wes Anderson»

I due fratelli romani raccontano il loro incredibile esordio da registi: «La realtà è brutale e non volevamo abbellirla, anche perché la violenza è sempre sciatta. I valori sbagliati del ventennio berlusconiano hanno creato un gran senso di frustrazione»

La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo: «La nostra periferia dove Pasolini incontra Burton e Wes Anderson»

I due fratelli romani raccontano il loro incredibile esordio da registi: «La realtà è brutale e non volevamo abbellirla, anche perché la violenza è sempre sciatta. I valori sbagliati del ventennio berlusconiano hanno creato un gran senso di frustrazione»

La terra dell'abbastanza: il racconto della conferenza

Arriverà nei cinema il prossimo 7 giugno con Adler La terra dell’abbastanza, il potentissimo esordio dei fratelli romani Fabio e Damiano D’Innocenzo che ha già riscosso un ottimo riscontro all’ultima edizione della Berlinale, dov’è stato presentato nella sezione Panorama (ve ne parlavamo nella nostra recensione di Dogman, perché i D’Innocenzo hanno partecipato anche alla sceneggiatura dell’ultimo film di Garrone).

Al centro di tutto Mirko e Manolo, interpretati rispettivamente dal quasi esordiente Matteo Olivetti e da Andrea Carpenzano, il protagonista di Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni: due giovanissimi attori che fanno prepotentemente a gara di bravura. Nel film sono due ragazzi figli della periferia romana, che guidando a tarda notte investono un uomo e decidono di scappare. La persona che hanno eliminato accidentalmente, però, è un pentito di un clan criminale di zona e uccidendolo i due si sono conquistati casualmente denaro, rispetto e autorità. Ma la strada che imboccano combacerà con un vero e proprio tunnel senza via d’uscita: un imbuto che punta dritto verso l’inferno.

Un’opera prima che convince per maturità e forza, La terra dell’abbastanza: per l’epidermica e viscerale idea di messa in scena, per l’urgenza istintiva e innata nel padroneggiare il mezzo cinematografico, sempre a mani nude, con una purezza accecante. I due registi, fratelli gemelli, abiti sportivi e sgargianti e pettinature indomabili e sbarazzine, raccontano il loro grande passo alla stampa, alla Casa del Cinema a Roma, con una potenza verbale e dialettica che agisce anch’essa sempre in simbiosi. Con una consapevolezza che, a dirla tutta, fa anche un po’ impressione, perché sembrare trovare sempre la sicurezza nel pudore (e mai altrove).

Ecco tutti i punti toccati nell’incontro, dai due autori, cresciuti nei sobborghi romani di Tor Bella Monaca tra pittura, scrittura di poesie e fotografia, e dagli altri presenti (c’è anche Max Tortora alle prese con un incredibile e inedito ruolo drammatico di padre ferito).

IL SIGNIFICATO DEL TITOLO

(Fabio) «Abbiamo scelto un titolo estremamente ampio e democratico che desse respiro al film, e ci piaceva l’idea che lo spettatore gli desse un suo significato attraverso l’esperienza che ha appena fatto una volta uscito dalla sala. Noi naturalmente conosciamo la risposta secca al perché del titolo, ma mi piacerebbe che rimanesse in qualche modo segreta. Quell’abbastanza l’abbiamo comunque molto ponderato: è un luogo grigio, un limbo altamente disperante, con dentro una risalita possibile. Ci piace che il titolo conservi quest’apertura. Abbiamo girato con questa sceneggiatura per tre anni prima di fare il film». 

IL  NEOREALISMO

(Fabio) «Abbiamo visto tanto neorealismo: era l’età dell’oro del nostro cinema perché c’era la spinta a risalire, con delle storie epiche meravigliose. Noi, però, siamo e viviamo in mezzo alle cose odierne e andando sul set non c’era mai la velleità di cercare un linguaggio appartenente a un’altra epoca: le nostre idee sono pratiche, nient’affatto teoriche. Avevamo dei riferimenti pittorici e figurativi, come Paisà di Roberto Rossellini, che è uno dei nostri film preferiti, o il pittore Francis Bacon per la graduale deformazione della realtà: non a caso abbiamo usato delle tinte fotografiche azzardate che sconfessano il realismo producendo un’astrazione». 

AL SERVIZIO DELLA STORIA

(Damiano) «Non devi raccontare la tua storia in maniera criptica e funambolica: è la storia a chiederti come essere raccontata. Sono i personaggi a dettarti le loro battute, e tu devi startene semplicemente lì a fare un’opera di copiato, di fatto». 

IL VENTENNIO BERLUSCONIANO

(Fabio) «Abbiamo subito un ventennio berlusconiano con dei valori probabilmente sbagliati. Un ventennio di crisi morale ed etica molto forte, che oggi crea un gran senso di frustrazione». 

IL CAST TECNICO

(Damiano) «L’equivoco sulle opere prime è che un maestro possa prendere il film e farlo suo. Se hai le idee chiare, non accade. I nostri collaboratori di pregio, Paolo Carnera alla fotografia, Marco Spoletini al montaggio, Paolo Bonfini alla scenografia e Massimo Cantini Parrini ai costumi, sono tutti maestri ai quali volevamo rubare. Con gli occhi, con le mani, con gli abbracci. Se ha un’idea e una visione, se sono entrambe molto chiare, non le perdi certo stando accanto ai più bravi. Anzi, è circondandoti di loro che andrai sempre più avanti e più lontano».  

La terra dell'abbastanza: la conferenza stampa

ABEL FERRARA

(Fabio) «E’ uno dei cineasti che ci ha condizionato moltissimo. Oltre a Fratelli, anche Il cattivo tenente ci ha influenzato col dualismo estremamente logorante che ha dentro di sé». 

PERIFERIA FIABESCA

(Fabio) «Il film è girato interamente o quasi a Ponte di Nona, una periferia di Roma Est vicina al centro commerciale. Ci serviva una marginalità urbana che si collegasse alla nostra idea di storia: una periferia che fosse anche magica, con le casette di Ponte di Nona che sembrano quasi un Pasolini che incontra Tim Burton e Wes Anderson». 

LA RETICENZA

(Damiano) «Una cosa per noi molto bella, anche per chi guarda, perché ti senti attivo anziché essere continuamente bombardato dall’esterno. La realtà è brutale e non volevamo affatto abbellirla, la violenza, invece, è sempre sciatta». 

MAX TORTORA (Danilo, il padre di Manolo)

(L’attore) «Tutto per me nasce nella scrittura e quando ho letto il copione di questi due giovani uomini l’ho sentito vibrare. Ho pensato: posso farlo, lo sento dentro di me. L’ho fatto in modo compassionevole, io l’ho sentito addosso e loro l’hanno raccontato bene. Questo personaggio non ha colpe per la sua vita, se rinascesse nello stesso posto farebbe la stessa cosa che ha fatto. Trovo sia vero che il mio personaggio è montato molto poco, senza piani d’ascolto, come se eseguisse una performance live a teatro. Il suo è come fosse un piano sequenza nervoso e tutto mentale e dopotutto tanti grandi attori di una volta dicevano al regista: ne faccio una lunga come dico io, poi vedi tu».

(Fabio) «Quello di Max è un personaggio estremamente disperato, forse il più irrisolto, fin dalle primissime scene: consiglia al figlio Manolo di fare qualcosa di sbagliato, ma è un padre che si ritrova schiacciato sotto il peso delle sue scelte. Mentre il personaggio della madre di Mirko va crescendo, si sviluppa, prende corpo, quello di Max si inabissa, sparisce, viene meno». 

MILENA MANCINI (Alessia, la madre di Mirko)

«Le indicazioni di Fabio e Damiano mi hanno permesso di trovare un equilibro fisico ed emotivo, permettendomi anche di raggiungere la giusta temperatura umana prima di girare. Sono un corpo unico, Fabio e Damiano, sul set. Ho cercato di costruire una madre sempre integra, di fronte sia alle positività che alle negatività della vita».

MATTEO OLIVETTI (Mirko)

(Andrea Carpenzano, interprete di Manolo, è assente per contemporanei impegni di set)

«Il mio primo provino è durato 17 minuti, non so nemmeno io come ci sono riuscito, ma ho fatto tutto quello che i registi mi dicevano da dietro la camera. I provini veri e propri poi sono durati sei mesi, più o meno. È stata anche una bella soddisfazione comunicare ai miei genitori di questo film, non avendo ancora trovato una strada nella mia vita a 28 anni! Nei camerini provavamo le scene sintonizzandoci emotivamente con Max e con Milena, papà e mamma a tutti gli effetti». 

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