«Questa è mia figlia, in questo momento è con mia cognata!» dice Salma Hayek, mostrando la foto di Valentina sullo schermo dell’iPhone. Ha il sorriso di una qualsiasi mamma orgogliosa della sua piccola, che ha appena iniziato la scuola elementare. In aggiunta, ha il fascino di una grande diva, bella come il sole e fresca, a quarantasei anni, da fare invidia a qualsiasi teenager.
All’Hotel de Russie, Best Movie l’ha incontrata per parlare del suo ultimo film, Le Belve di Oliver Stone, in uscita nelle sale italiane il prossimo 25 ottobre.
Best Movie: Sappiamo quanto sia importante, per un regista come Stone, la fase di preparazione. Cosa puoi dirci a questo proposito?
Salma Hayek: La cosa che mi ha colpito di Oliver è stata la sua umiltà. In preparazione, si è verificata una cosa molto strana: noi attori provavamo le scene e, quando non ci convincevano, improvvisavamo. Oliver era molto bendisposto e faceva tesoro di tutte le nostre idee. Era pronto a mettere in discussione qualsiasi scelta, e ci ha dato moltissimo tempo per prepararci prima delle riprese; questa flessibilità è rara nel cinema.
BM: In una passata intervista hai dichiarato di aver perso interesse per il tuo lavoro.
SH: Beh, lavoro da molti anni. Malgrado la candidatura all’Oscar, non mi offrivano ruoli stimolanti. Basti pensare che l’unico altro ruolo da cattiva che ho fatto nella mia vita è in Lonely Hearts, dove interpreto una serial killer molto più crudele di Elena (il suo personaggio in Le Belve, ndr). Tra l’altro, anche in quel film c’era John Travolta, e sono convinta ormai che per fare un ruolo cattivo credibile devo averlo al mio fianco! Comunque, sono sposata ed ho una bambina piccola; mi sono detta «se non mi offrono ruoli che mi piacciono, passerò più tempo con mia figlia!». In gioventù ho affrontato ruoli che non mi piacevano, ma all’epoca dovevo pagare l’affitto ed è stata una scelta logica, dettata dalla necessità. Non ho perso interesse per il mio lavoro, ma raramente mi offrono ruoli interessanti.
BM: Parlaci della tua vita come produttrice.
SH: Mi ha consentito di produrre Frida, un film su un personaggio che amavo da anni. Attualmente, mi sono innamorata di un romanzo, Il Profeta, da cui vorrei trarre un film d’animazione. Ci sto lavorando con dei grandi professionisti, tra cui Roger Allers, il regista de Il Re Leone. Siamo in fase di preparazione e sono entusiasta del progetto.
BM: Il film di Stone ricorda le atmosfere dei tuoi primi film con Robert Rodriguez.
SH: Per me è stato utilissimo lavorare con Robert all’inizio della carriera. È eccezionale, ma molto diverso da Stone. Lui e Tarantino fanno film prendendo spunto dalla realtà di altri film. Stone ha un taglio giornalistico, reale. Prende spunto dalla vita. Le regole della violenza, per Rodriguez, sono puramente cinematografiche. L’eccesso di humour e di violenza creano un mondo caricaturale. In Stone, tutto ciò che ci sembra eccessivo parte dal reale. I boss del Cartello messicano hanno davvero cappelle private con statue di santi in casa, non è un’esagerazione del film. Il cinema di Oliver Stone riflette la realtà delle cose. La mia speranza è che, guardando questo film, emerga questa orribile realtà e che tutti comprendano come acquistare droga, in Messico, equivale a macchiarsi le mani di sangue. Ho sentito gente dire “dio, questo film è troppo cruento, ho dovuto chiudere gli occhi”. Io dico: non serve chiudere gli occhi di fronte al film, preoccupiamoci di aprire gli occhi e guardare la vita reale. Preoccupiamoci del nostro futuro, perché l’acquisto di droghe è un gesto che, spesso fatto con superficialità, porta a conseguenze gravissime ed innesca una spirale di morte.
BM: Nel film interpreti Elena, una donna dura e crudele, che però rivela un lato molto umano e materno; a volte, il pubblico è portato a schierarsi addirittura dalla sua parte. Hai avuto qualche riferimento in particolare? Nella vita, sei dura con gli uomini?
SH: Bisogna essere forti per sopravvivere, specialmente se sei una donna. È una benedizione trovare un uomo con cui puoi sentirti tranquilla e permetterti il lusso di tirare fuori la tua parte vulnerabile. Riguardo Elena, ho sempre pensato che un personaggio, buono o cattivo che sia, per essere credibile dovesse avere un lato umano. Penso ad Hannibal Lecter, un personaggio mostruoso, con cui è difficile identificarsi. Eppure, nel momento in cui si trova a patteggiare, l’unica cosa che chiede è una finestra. In quel momento, il suo lato umano esplode, e lo spettatore ne è colpito. Più grande è il personaggio, più diventa fondamentale creare empatia tra lui e il pubblico.
BM: Tuo marito (il miliardario francese François-Henri Pinault, ndr) ha apprezzato Le Belve?
SH: Sì, ma si è lamentato del fatto che, secondo lui, il personaggio di Elena avrebbe dovuto comparire in più scene!
BM: Lavoreresti in Italia?
SH: Magari! Ma nessun regista italiano mi chiama! Non parteciperò alla promozione de Le Belve in giro per il mondo, ho fatto eccezione per soli tre paesi: la Francia, l’Inghilterra e l’Italia. Una delle mie migliori amiche è italiana: Valeria Golino. Mi ritengo molto, molto fortunata ad averla incontrata. È come se avessimo iniziato una conversazione che, attraverso gli anni, non è ancora finita.
Prima di salutarci, Salma prende il telefonino e sorride mostrandoci la schermata. «Come dicevo: mi ha cercata Valeria Golino!»
(Getty Images)
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