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Luciano Ligabue presenta Made in Italy: «Volevo che fosse un film tutto di cuore»

Il rocker torna alla regia col suo terzo film, con protagonisti Stefano Accorsi e Kasia Smutniak: «Non racconto né i vincenti né i cattivi, ma dei personaggi poco rappresentati dell'Italia di oggi»

Luciano Ligabue presenta Made in Italy: «Volevo che fosse un film tutto di cuore»

Il rocker torna alla regia col suo terzo film, con protagonisti Stefano Accorsi e Kasia Smutniak: «Non racconto né i vincenti né i cattivi, ma dei personaggi poco rappresentati dell'Italia di oggi»

Luciano Ligabue presenta Made in Italy

Non girava un film da sedici anni, Luciano Ligabue, uno dei cantanti più amati del nostro paese: un artista che attraverso la sua musica ha saputo tradurre in note un’urgenza puntualmente sentimentale e dunque, essendo le due cose tutt’altro che in contraddizione tra loro, incidentalmente anche politica.

Le tonalità dei suoi brani sono sempre ad alto tasso di immedesimazione, complice anche un cantato profondo, possente e viscerale: dei pezzi abitati talvolta da dei personaggi veri e propri, che tradiscono la frequentazione del rocker di Correggio col cinema, con i chiaroscuri e le esigenze di uno strumento narrativo più articolato di una canzone e della sua natura brevilinea, fulminea. Un rapporto, quello tra il cinema e il cantautore emiliano, interrottosi 16 anni fa, con quel Da zero a dieci che fu sequel ideale del fortunato Radiofreccia.

Il Liga, come lo chiamano i suoi fan, tornerà nelle sale il 25 gennaio con Made in Italy, produzione targata Medusa e Fandango (al suo fianco, ora come allora, c’è il produttore Domenico Procacci) e incentrata sulle vicende di Riko, protagonista dell’omonimo concept album: un uomo ammaccato e ingrigito dalla crisi, una specie di fratello minore del Freccia che fu, con molta meno vitalità a scorrergli nelle vene e un senso di amarezza e di frustrazione scolpito nelle ombre e nelle rughe del volto. La faccia di Riko è quella, sempre più presente (e con merito) nel cinema italiano recente, di Stefano Accorsi, che ritrova Ligabue vent’anni dopo Radiofreccia.

«Il cambiamento fa paura perché non siamo portati a pensare che il cambiamento provochi buone cose – ha detto il musicista emiliano presentando il suo film – ma il cambiamento è la cosa più naturale della vita. Muta il nostro punto di vista, il nostro modo di guardare la realtà. Riko a un certo punto comincia a vedere ciò che lo riguarda in maniera ristretta e il film non è altro che il suo percorso per cambiare sguardo su tutte ciò che ha sempre avuto sotto mano».

L’ambizione era quella di creare una narrazione sull’Italia di oggi, attraverso delle note già di dominio pubblico, largamente amate dalla cospicua fetta di fan del cantante. «L’album Made in Italy nasce come progetto balordo, perché sono consapevole di come venga ascoltata la musica oggi come oggi, con una velocità che spesso non va oltre l’ascolto del ritornello. Fare un concept  album e chiedere a qualcuno di ascoltare una storia attraverso le canzoni è al limite della presunzione di questi tempi, ma è qualcosa che in quel momento della mia carriera volevo fare e che ho riversato in questo film».

Il cinema e la musica, si sa, sono entrambi un laboratorio di emozioni, ma per Ligabue la differenza tra un medium e l’altro è tangibile. «Quando fai sul palco è tutto un fluire le canzoni, canti e vedi cantare gli altri, mentre fare un film un’esperienza faticosissima perché attraverso singoli pezzetti devi creare dei momenti che siano di cuore, attraverso un processo tutto mentale. Io volevo che questo film fosse di cuore, finalmente avevo anche una storia e finalmente Procacci mi ha risposto al telefono! Tanto so come va a venire, che finita la promozione lui cambia numero e per fare un film devo aspettare altri 18 anni! (ride)».

Non è la prima volta che il Liga racconta l’Italia. L’ha già fatto, e naturalmente in musica. «Vedo l’Italia in una fase di incertezza pesante – continua il regista – l’ho iniziata a raccontare dieci anni fa con Buonanotte all’Italia, poi con Il muro del suono e Il sale della terra ho tentato nuovamente di raccontare l’amore per questo paese che non viene meno nonostante tutte le cose che non vanno bene. Volevo raccontare l’Italia attraverso uno che ha meno privilegi di me, proprio come Riko, che viene da un tessuto vivo, normale. Nessun italiano fa la luna di miele in Italia o viene in vacanza in Italia, siamo assuefatti alla sua bellezza e al suo malfunzionamento, e ciò crea una frizione. Questo, però, è un film sentimentale, aggettivo che viene sempre mal interpretato ma che per me è positivo. Raccontare i cattivi è più cool, dedicarsi a queste persone poco raccontate molto meno. Sono quelli che fanno il loro dovere in silenzio».

A interpretare la moglie di Riko, Sara, c’è Kasia Smutniak: «Di lei mi piace la sua coerenza – racconta l’attrice polacca – sa esattamente quello che vuole, mi sono ispirata al coraggio di molte donne. La vita può portarti a perdersi, ma lei è una risolta, una che sa, una che nei momenti difficili prende una decisione. Interpretarla, pur essendone affascinata, non è stato facile, ma ho potuto contare un mondo che mi era molto chiaro, quello di Luciano: una base non solo musicale ma anche di parole».

Se Sara sa, Riko, per Accorsi, sta, in virtù di una differenza sottile ma piuttosto evidente tra i due: «Riko è un uomo che sta. Che sta in questa sua vita, che ha vissuto anni diversi per questo paese. Questo film racconta di amore ma anche di vita, di uomo che comincia in un momento difficile. Cambiando il suo punto di vista si rigenera e trovo molto raro mettere in scena questo genere di persone raccontate in questo modo. Si cerca spesso di raccontare i cattivi, è vero, ma anche lo straordinario. Invece questo film ha una prospettiva rara e Luciano se hai un’emozione dentro lavora sulla verità, magari ti stimola per farla venire fuori. Lavorare con un regista che non fa un film da 18 anni vuol dire che quella storia gli è maturata dentro, che racconta un film che è uno di quelli della sua vita».

«Luciano è uno dei pochissimi in Italia che possa fare un’opera rock – sintetizza invece il produttore Domenico Procacci – abbiamo lavorato sentendo le canzoni, anche degli altri brani che poi non sono entrati dentro Made In Italy. Sono stupito da come a tanti anni di distanza non abbia subito tutto ciò che è cambiato anche a livello tecnico nel cinema, ma a usare un mezzo diverso da quello che usa per comunicare di solito. Molti penseranno che Kasia è dentro al film grazie a me, ma in realtà io non la vedevo giusta per il ruolo, è stato Luciano a chiedermi se secondo me le sarebbe andato di fare un provino. Gli ho detto che è stato bravo, che ha visto qualcosa che io non avevo visto».

A chiudere il cerchio è però il regista, che lo fa, giustamente tornando alle proprie origini: i propri bisogni e impulsi, connessi all’irrinunciabile dimensione della provincia, massimo luogo d’intimità e di verità: «Ho seguito il mio istinto e da quasi trent’anni faccio un mestiere che mi ha reso personaggio pubblico. Ho conosciuto molta gente, anche interessante, molto sono diventati amici ma gli amici che mi tiro dietro dall’infanzia sono la realtà che frequento di più e mi piaceva l’idea che ci fosse la possibilità di dare voce a loro, un pezzettino per personaggio. Radiofreccia usavo macchina da presa a strapiombo per ricordare che siamo a Correggio, che siamo in un gruppo di amici. Altre volte ancora la mettono a terra per far capire in che gruppo di amici eravamo. Su Radiofreccia si dice sempre che è un racconto generazionale, io non racconto storie di gruppi ma se poi la gente si riconosce…Vivo in provincia da un numero irraccontabile di anni, ci vivo bene, è la mia dimensione, il mio raggio d’azione è limitato perché artisticamente voglio raccontare le cose che conosco bene ed è essere specific.

Made in Italy conferenza stampa

Foto: Getty Images

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