La lucida follia di Marco Ferreri: a Venezia 74 il documentario sul provocatorio regista italiano

La regista e critica cinematografica Anselma Dell'Olio immerge lo spettatore nell'arte di un maestro dimenticato

Il documentario di Anselma Dell'Olio su Marco Ferreri

Nessun regista ha portato sul grande schermo l’animalità dell’essere umano con la stessa portata provocatoria e graffiante del cinema di Marco Ferreri: un maestro a dire il vero dimenticato, poco studiato e ancor meno ricordato al di fuori della cinefilia più attenta e scrupolosa.

Le ragioni di questa rimozione risiedono senz’altro nell’anima irrequieta di una poetica allo stesso tempo surreale e disturbante, che dietro la grazia dell’intuizione surreale celava sempre e comunque un abisso di mostruosità respingente. Capace di lasciare a debita distanza lo spettatore poco avveduto e votato sempre e comunque alla demistificazione, iconoclasta e fuori dagli schemi, Ferreri ha messo insieme una galassia di film a dir poco spiazzanti, ben sintetizzata dal documentario di Anselma Dell’Olio La lucida follia di Marco Ferreri, che si è visto alla Mostra del cinema nell’apposita sezione Venezia Classici dedicata ai doc sul cinema.

La regista, critica cinematografia e volto noto della trasmissione di Rai 1 di Gigi Marzullo Cinematografo, ha realizzato un interessante e profondo lavoro d’archivio su un regista tra l’altro difficile da inquadrature e da restituire in tutte le sue sfuggenti sfaccettature. La lucida follia di Marco Ferreri evocata dal titolo è invece ben restituita da un dedalo di testimonianze autorevoli, fornite da personalità che ebbero modo di conoscere da vicino il regista e di lavorare con lui (Isabelle Huppert, il critico dei Cahiers du cinéma Serge Toubiana, Roberto Benigni, Ornella Muti, Sergio Castellitto, Hanna Schygulla, Andréa Ferréol).

«Può darsi che vedere l’uomo per quello che è sia provocare lo spettatore», dice il regista in apertura, declassando con naturalezza e un pizzico di fanciullesca incoscienza l’etichetta mediatica di regista scomodo che gli è stata tatuata addosso in virtù della sua tendenza allo scandalo e alla divisione feroce, come quando al festival di Cannes il suo capolavoro La grande abbuffata fu spennacchiato da metà della sala e applaudito sfrenatamente dall’altra metà.

Benigni lo definisce, in un poemetto incastonato nel film, un uomo scorbutico, iracondo, buffo e basso, «in un mondo di morti il solo vivo»tratti distintivi di una personalità irrequieta, provocatoria per necessità e non per posa, i cui film appaiono ancora oggi come delle profezie apocalittiche disperatamente in anticipo sui tempi. La Huppert gli attribuisce qualcosa di insaziabile, da contrapporre alla malinconia sottile e delicata di cui parla invece Benigni. Ma sono tutte qualità che confluiscono indistintamente in una personalità inesauribile e tutta da (ri)scoprire, nella quale il documentario della Dell’Olio aiutare a entrare dalla porta principale, soffermandosi sulle controversie ma anche sulla pietà (non poca, non casuale) del cinema lunare e soprannaturale di Ferreri: un’arte bisognosa di oracoli e forme mostruose non tanto per leggere il suo tempo quanto soprattutto per prefigurare il futuro.

Qui la nostra sezione dedicata alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia.

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