Matt Damon: born to be Bourne

Il brutale allenamento per tornare nei panni di Jason Bourne, quella cena in cui Tom Cruise l'ha "sfidato" a chi avesse le scene d'azione più spettacolari nel proprio curriculum, l'inaspettata visita del fisico Stephen Hawking sul set, le botte con Vincent Cassel, il suo action movie preferito di tutti i tempi. Ecco cosa ci ha raccontato l'attore nel nostro – mancato – incontro

«Ricordo. Ricordo tutto». Inizia con queste parole l’ultimo capitolo della saga di Bourne. E non è un caso: l’ex agente delle CIA ha infatti ritrovato la memoria, ma non per questo la pace. Lo scoviamo così al confine tra Grecia e Macedonia dove combatte in incontri di box clandestini per soldi, certo, ma soprattutto per prendere a pugni la sua stessa coscienza, stordirsi nell’oblio, punirsi delle morti che ha causato in passato. A dar vita a questa macchina da guerra dall’anima tormentata – il nostro eroe è ancora più silente e solitario (ha 25 righe di dialogo in tutto) – è, ça va sans dire, Matt Damon: a 45 anni, l’attore torna nei panni del personaggio che aveva vestito per la prima volta a 29. Personaggio che, fra tutti quello che ha interpretato, è quello che gli è restato più attaccato addosso, e dire che Damon ha diversificato non poco la propria carriera alternando opere d’autore, commedie, blockbuster. «Non importa quel che faccio, resterò sempre associato a questo ruolo, mi segue dappertutto. Ma non mi dà fastidio essere inseguito da lui, perché amo davvero Jason Bourne» ha dichiarato. Quest’ultimo capitolo riprende la formula vincente dei precedenti, quindi cala l’azione con il solito realismo grezzo alla Greengrass nella società contemporanea, ovvero l’era post- Snowden dove privacy, libertà e sicurezza non riescono a trovare un equilibrio e il loro scontrarsi accende conflitti più o meno dichiarati. Conflitti e vendette che tengono alta l’asticella della spettacolarità, con due scene che da sole valgono il prezzo del biglietto: l’inseguimento in moto durante le rivolte di Atene (girato in realtà a Tenerife) e quello in auto a Las Vegas. Ci sarebbe piaciuto descrivervi com’era, di persona, Matt Damon alla vigilia della première inglese di Jason Bourne. Purtroppo l’aereo che doveva portarci a Londra per incontrarlo non è mai decollato (per un guasto) e così, ci siamo dovuti accontentare di parlargli al telefono, in un angolo dell’aeroporto di Malpensa. Ma anche al telefono, nonostante il tour de force della promozione e il rito estenuante di dover rispondere sempre alle stesse domande, Matt ci ha fatto arrivare il suo sincero entusiasmo, regalandoci diverse curiosità.

Le spie sono un po’ come gli attori: nelle loro vite ricoprono diverse identità. Che significato ha questa parola per Jason Bourne e per te?
 «La ragione per cui abbiamo deciso di intitolare il film Jason Bourne deriva da lì: l’intera saga è un viaggio nel tema dell’identità. Nei primi tre film Bourne ha essenzialmente continuato a cambiare pelle in questa ricerca. E all’inizio di questo quarto episodio ci appare danneggiato, torturato e infestato dal suo passato: vive ai margini della società, in uno spazio oscuro. Non se la passa bene. Il tutto proprio perché si è attorcigliato sul significato di quella parola. Ovviamente, anche per noi attori è un tema fondamentale, in primis perché noi usiamo le nostre stesse personalità per creare i personaggi che interpretiamo».

Le scene d’azione di Jason Bourne sono pazzesche. Tu sei come Tom Cruise che con orgoglio fa tutti i suoi stunt, anche quelli più pericolosi, senza controfigura?
«Io sono esattamente l’opposto di Tom Cruise (ride, ndr)! Qualche anno fa sono stato a cena con lui e mi ha raccontato nel dettaglio tutti i suoi stunt in giro per il mondo, ad esempio quello in Mission Impossible in cui si è arrampicato sul grattacielo Burj Khalifa di Dubai, il più alto del mondo. E io gli ho detto: “Tom, tranquillo, guarda, non c’è gara. Hai vinto tu!”. Io non potrei mai fare nulla di simile: lui è un fuori-classe, comunque. Eccezionale. Io faccio quello che posso: se è richiesta una certa competenza, lascio fare a chi ha esperienza. Solo così tutto è più credibile e le scene d’azione sembrano fatte dal vero Jason Bourne e non da un Matt Damon che prova a imitarlo».

Quindi non hai guidato tu la moto nell’inseguimento ad Atene?
«No, certo che no! Erano dei campioni mondiali di moto enduro (come Paul Edmondson, ndr). Si trattava di una sequenza molto pericolosa: io ho fatto poco, giusto quel che ho potuto».

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Foto: © Universal Pictures

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