È finalmente giunto il momento: l’ultimo capitolo della trilogia comica più devastante – al botteghino e per i nostri addominali – degli ultimi anni arriva in sala oggi (qui la nostra recensione), e mette la parola “fine” sulle avventure di Al, Stu, Phil e Doug, alias il “wolf pack”. Dopo avere messo a ferro e fuoco Las Vegas, dopo aver viaggiato fino agli estremi confini del mondo (OK, fino in Thailandia), dopo essere tornati sul luogo del delitto, i quattro squinternati ci salutano per sempre – e, non lo nascondiamo, ci mancheranno molto. Quale modo migliore per placare la nostalgia, quindi, di fare una chiacchierata faccia a faccia con uno dei “leoni”, l’intellettuale del gruppo, il musicista, il dentista sensibile, insomma Stu alias Ed Helms. Che in questa intervista esclusiva ci racconta tutto quello che abbiamo sempre voluto sapere su Una notte da leoni… e anche qualcosa che avremmo preferito non sapere.
Puoi presentarti e dire chi interpreti nel film?
«Il mio nome è Edward Parker Helms e interpreto Stuart Price, dentista e membro del Wolf Pack. E porto scarpe di taglia nove e mezzo».
Ed, ci puoi dire come procede la vita di Stu in Una notte da leoni 3?
«Be’, penso che Stu sia stato una specie di sacco da boxe nei primi due film, ma alla fine del secondo ha sposato una bellissima donna che l’ha reso più cool. Perciò all’inizio del nuovo film lo vediamo vestire un po’ più alla moda, ha un migliore senso estetico e forse è anche un po’ più sicuro di sé. Ma poi il buon vecchio Stu nevrotico torna alla ribalta quasi subito».
Dopo quello che voi ragazzi avete affrontato nei primi due capitoli, qual è la più grande sfida in questo?
«Probabilmente trovare nuove avventure che siano diverse e stimolanti per i nostri fan e il pubblico. La soluzione è stata quella di distaccarsi dalla formula di Una notte da leoni 1 e 2 e cercare una direzione più cupa. I primi due film sono pervasi da una grande gioia, che sta nello scoprire quanto, nonostante tutto il caos seminato, ci siamo anche divertiti la notte precedente. In questo film c’è meno felicità. È ancora estremamente divertente, ma percorso da un’energia più dark, il che è un ottimo cambio di tono».
Il primo Una notte da leoni lo avete girato al di sotto dei radar, ma questa volta è impossibile. Come sono cambiate le cose per voi nel girare a Las Vegas, rispetto all’ultima volta?
«La grossa differenza è che non posso farmi una tranquilla partita a Black Jack nel casinò dopo il lavoro. E, quando giriamo, ogni tanto c’è gente che accosta la macchina e grida: “Una notte da leoni!” o: “Wolf Pack!”, e ci tocca rifare alcuni ciak. Perciò è una situazione un po’ più caotica, ma in fondo divertente, perché qui abbiamo un sacco di fan. E poi gli hotel ci trattano benissimo…».
Come riesci ogni volta a inventarti le canzoni dei film? Sono già nello script?
«No, nessuno dei due brani dai primi due film era scritto in sceneggiatura. Non solo non c’era il testo, ma non erano nemmeno stati concepiti come idea. Quindi in entrambi i casi sono stato io che, arrivati a un certo punto delle riprese, dicevo: “Sarebbe divertente metterci una canzone qui!”. Ed è così che sono nate».
Ne scriverai un’altra per Una notte da leoni 3?
«Non posso dirlo».
Che tipo di animali incontrate in questo film?
«Ce n’è uno “affilato”, ed è tutto quello che posso dirvi al riguardo».
Visto che ora Stu è un uomo sposato, ci sarà un conflitto tra la tua attuale moglie e la ragazza che hai sposato a Las Vegas nel primo episodio?
«Domanda interessante. Ci potrebbero essere delle circostanze in cui le cose potrebbero farsi subdole. Ma uno dei tratti più peculiari di Stu è che è un ragazzo buono, con delle buone intenzioni, e questo genera una sorta di conflitto con la sua condotta terribile, che lo fa disgustare di se stesso e gli causa dei problemi di gestione della rabbia. Un tratto con cui giocheremo anche stavolta».
Cosa è successo al tatuaggio sulla faccia che ti eri fatto in Una notte da leoni 2?
«Vedete questa cicatrice? È una cicatrice dovuta alla rimozione del tatuaggio col laser, il che mi costringe a passare trenta minuti in più in sala trucco. Mi tocca arrivare sul set mezz’ora prima di Zach e Bradley ogni giorno».
Puoi parlarci di come si sia evoluta la relazione tra i membri del Wolf Pack?
«Be’, credo che una delle caratteristiche fondanti di questo gruppo sia che l’amicizia resta intatta. I nostri personaggi sono in pratica degli archetipi: c’è il tipo fico, il nerd e lo strambo, mentre Justin Bartha è quello normale, e Ken Jeong quello imprevedibile. Nonostante tutto quello che abbiamo affrontato nei primi due film, la loro amicizia e i loro ruoli nella dinamica di gruppo sono abbastanza stabili. Non dico che questa amicizia non venga messa alla prova, ma proprio lì sta il divertimento».
E invece tra voi attori come sono le dinamiche? Chi è il fico, il nerd, lo strambo…?
«Direi che quello fico sono io in questo gruppo. A parte gli scherzi, in realtà i nostri personaggi sono delle versioni di noi stessi. Credo che questa sia una cosa comune alla maggior parte degli attori. E poi siamo stati scelti per il nostro carattere. Perciò la nostra dinamica reale è, in un certo senso, una versione più rilassata di quella del film».
Come ti senti ora che stai girando quella che probabilmente sarà l’ultima avventura del Wolf Pack?
«Credo che sia un finale meraviglioso. È triste quando le cose si sgonfiano malamente o non vengono gestite bene. Ma questo film ha l’aria di un gran finale celebrativo per Una notte da leoni e io ne sono entusiasta. È strano perché per me quest’anno finirà anche The Office, e già sto guardando con impazienza alla prossima fase della mia carriera. In entrambi i casi penso che la chiusura stia venendo gestita benissimo. Ovviamente sono anche un po’ triste, perché farei volentieri questi film per altri quarant’anni. Magari tra vent’anni ci ritroveremo per fare il seguito di quel film con Robert De Niro che stanno girando ora, Last Vegas».
Come ci si sente a chiudere il cerchio tornando a Las Vegas? E in che modo le diverse location in cui avete girato hanno influenzato i vostri personaggi?
«Direi che questo film ha una premessa e un contesto molto diversi dagli altri due, in cui le location erano dei personaggi a tutti gli effetti e noi ci rapportavamo a essi in modi molto diversi, venendone influenzati. Qui, invece, Vegas rappresenta più un modo per riconnetterci al film originale. Mi piace come questo film riesca a tessere insieme linee narrative dall’intera trilogia. È come se dettagli che non avevate notato nei primi due capitoli improvvisamente assumessero senso e importanza per quanto accade in questo ultimo episodio. È una storia davvero bella e le location ne sono una conseguenza».
Come è cambiata la tua relazione con il regista Todd Phillips rispetto al primo film?
«Todd è il nostro boss, ci tiene in riga, sa prendere le decisioni, è un buon leader e noi siamo soldati zelanti. E tutti apprezziamo molto ciò che questa serie ha fatto per noi, non solo nelle nostre carriere, ma anche nelle nostre vite, le amicizie che abbiamo stretto… e Todd è davvero il centro di tutto questo. Per rispondere alla domanda, credo che siamo più maturi, rispetto a cinque o sei anni fa, siamo più vecchi e abbiamo più esperienza. Direi che “maturi” è la parola giusta. Ma vorrei chiarire una cosa: Una notte da leoni 3 non è per nulla un film maturo!».
Questi film hanno sempre spinto in là il limite con il loro humour ruvido. Quanto in là sei disposto a spingerti tu, personalmente, sul set?
«Be’, ho scoperto che il mio limite cade sempre un po’ prima di quello del film e della dinamica comica del gruppo. E quando ho capito che questi film sono più grandi di me, ho imparato ad adorare il risultato. A volte sono mortificato quando stiamo girando una scena, ma so che più avanti la rivedrò e mi piacerà».
Cosa significa Una notte da leoni per te?
«Penso che alla fine parli di amicizia. E anche se nei film litighiamo costantemente, abbiamo un legame fortissimo, ed è questo che fa amare i personaggi da tutti, dagli studenti di college alle nonne. Perché restano sempre uniti e affrontano le situazioni più difficili insieme».
Ma ci sembra di capire che in questo film Alan si allontani dagli altri…
«Be’, non so se la metterei in questi termini. Questo film parla di amici che rimangono uniti. Quando dico questo film intendo la serie».
Stu è un po’ simile alla Cosa dei Fantastici Quattro, nel senso che è l’unico a portare i segni di quello che succede al Wolf Pack in queste notti folli. Succederà ancora?
«Be’, non l’abbiamo mai guardata da questo punto di vista. Non ci interessa tanto superare quello che abbiamo fatto prima o prendere la stessa idea e crearne una variante. Questo è un nuovo film, con una nuova storia e credo che la gente sarà compiaciuta e sorpresa quando vedrà le nuove direzioni in cui la porteremo».