“Messi è un mostro”.
La parola mostro deriva dal latino Monstrum che significa: prodigio, portento, miracolo, evento straordinario, cosa incredibile. Ma sta anche ad indicare che si è diversi da tutti gli altri. Ed il piccolo Lionel Messi ha dovuto fare i conti ben presto con questa diversità. A 6 anni era più basso di almeno 20 centimetri rispetto ai suoi compagni e a 9 si faceva le iniezioni da solo, per iniettarsi la cura (gli era stato diagnosticato l’ipopituitarismo, la poca secrezione di somatotropina).
Nato a Rosario, un paesino in provincia di Santa Fe, dove il calcio è la divinità che tutti venerano, ha fin da piccolissimo un pallone ai piedi, e all’età di 5 anni, sostenuto dalla nonna, sua più grande ammiratrice, inizia a giocare nel Grandoli.
Da lì la strada che lo porterà a Barcellona è rapida, ma non indolore. Dovrà trasferirsi perché il club spagnolo è l’unico disposto a pagargli le iniezioni, che costano più di 900 dollari al mese, e perché giocare per il Barça è da sempre il suo più grande sogno.
La storia di Messi è la storia di un genio, un ragazzo straordinario, che fin da piccolo ha dovuto fare i conti con questa sua eccellenza, ma è riuscito a non perdere la sua umanità.
Álex de la Iglesia (fino a ieri regista horror) ci accompagna a conoscere il campione attraverso un esercito di conoscenti (tra amici d’infanzia, insegnanti, compagni di squadra, allenatori vecchi e nuovi), tutti riuniti in un ristorante, ripresi mentre cenano e discutono del mito. Assomiglia un po’ a quelle conversazioni che si fanno intorno alla tavola la domenica, prima della partite di campionato, con la differenza che qui chi parla di Messi lo conosce davvero.
Ad intervallare le testimonianze dirette ci sono immagini di repertorio (le partite più importanti e i gol più belli), ma anche filmati inediti di un piccolissimo Messi alle sue prime partite, e parti di fiction (che vorrebbero raccontare i momenti più significativi, le svolte, della vita e della carriera del campione).
La sensazione generale che si ha, però, è che manchi quella profondità data dalla distanza. Si è troppo invischiati in una storia che mentre la si sta raccontando è ancora in divenire, e perciò necessariamente incompiuta. Ci vengono offerti vari punti di vista, ma nessuno è approfondito a dovere, e alla fine sappiamo poco, di quasi tutto.
Tutti vorrebbero essere Lui, (anche il compagno di squadra Javier Mascherano, che dichiara: “sarebbe bello essere per cinque secondi Messi, solo per provare la sensazione”) ma pochi sentiranno di conoscerlo davvero dopo aver visto questo film. Quello che ricorderemo, invece, è che, quando segna, le braccia alte, ad indicare il cielo, sono per lei, la nonna.
Lei è stata la prima, a dirglielo: “tu sarai il miglior giocatore del mondo”.
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