Miles Teller, Jonah Hill e il lato oscuro del sogno americano: la recensione di Trafficanti

Dal regista di Una notte da leoni, una commedia densa d'inaspettati squarci dark

Una delirante storia come potrebbe succedere solamente negli States, quella che vede protagonisti Efraim Diveroli e David Packouz, giovani poco più che ventenni che dalla loro cameretta puzzolente e sporca, sono riusciti, durante l’amministrazione Bush, a raggirare l’esercito americano vendendogli delle munizioni cinesi per la bellezza di 300 milioni di dollari. L’American Dream, insomma, passa attraverso l’imbroglio e il raggiro, per quel cinismo capitalistico secondo cui «tutto è economia, anche la guerra».

A dirigere l’operazione è Todd Phillips, che dalla vicenda estrae lo spirito più ludico e commercial(izzabil)e, finendo però per realizzare qualcosa di meno scontato di quanto potrebbe inizialmente apparire: Trafficanti parte come una commedia anche un po’ coming of age, ma poi l’umorismo diventa sempre più nero, fino ad alcuni inaspettati tocchi drammatici ben congegnati e assolutamente funzionali. L’opera mescola con fluidità umori e sensazioni tra le più disparate, e a convivere sono risate e ansia, esaltazione e disagio. Il tutto, senza la pesantezza morale dei predicatori, ma con una scorrevolezza nitida e trasparente sempre e comunque al servizio della narrazione.

Miles Teller rimane confinato in un angolo, dato che ad avvolgere la scena è la presenza catalizzante di Jonah Hill, sboccatissimo come sempre e bastardo fino al midollo, emblema di una società avida e affamata di verdoni disposta a tutto pur di riuscire a dissanguare qualcuno con gelida spietatezza. Lui, spirito comico del racconto, ne diventa anche l’incarnazione più oscura e disturbante, fino a quella tranche finale dal retrogusto amaro: l’anestesia dei sentimenti, senza compassione.

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