Il terzo capitolo della saga di Bridget Jones si apre con un déjà vu. La single (lei si definisce zilf, zitella+milf) più famosa al mondo insieme a Carrie Bradshaw di Sex and the City si ritrova a festeggiare il suo 43° compleanno senza nessuna compagnia. Le amiche hanno i bambini a cui pensare e il gay del terzetto storico è impegnato altrove. E così si ritrova sola esattamente come nella prima scena di Il diario di Bridget Jones, un cupcake decorato con una candelina sbilenca accesa, “All By Myself” di Celine Dion in sottofondo e un calice di vino bianco impugnato come un microfono. Ma Bridget è cresciuta, non è più la over 30 che si chiedeva malinconicamente se avrebbe mai avuto un “e vissero tutti felici e contenti” e – con un perentorio “vaffanculo” – cambia stazione e si scatena, rimbalzando sul lettone, con tanto di lip-sync, sulle note di “Jump Around” degli House of Pain.
A dodici anni dal dimenticabilissimo Che pasticcio, Bridget Jones!, molta acqua è passata sotto i ponti: Bridget e Mark Darcy (Colin Firth) non stanno più insieme da ormai un lustro, tanto che lui si è sposato con un’altra, e Daniel Cleaver – l’assente “giustificato ma non troppo” Hugh Grant – non è nei paraggi (ma vi lasciamo il piacere di scoprire il come da soli, perché è una delle chicche del film), per cui la nostra beniamina è sul mercato libero da un po’. A sua difesa va detto, però, che se la vita sentimentale non è granché, professionalmente Bridget è diventata un’affermata produttrice di un notiziario televisivo nazionale dal piglio deciso ed è fiera di essere molto dimagrita. Tranquilli, comunque, le gaffes assurde non sono sparite dal suo repertorio, specie quando si tratta di parlare in pubblico.
Come dichiara esplicitamente il titolo, Bridget Jones’s Baby riguarda l’inattesa gravidanza della single – in seguito alla botta e via con un imprenditore americano (la new entry Patrick Dempsey, il fu Dottor Stranamore di Grey’s Anatomy) conosciuto a un happening musicale e all’aver ripetuto la stessa esperienza qualche giorno dopo con l’ex Mark – rendendo impossibile scoprire la paternità del pupo, specie dopo aver rifiutato di sottoporsi ad amniocentesi.
E sebbene la storia nel suo svilupparsi perda a tratti di credibilità, il suo rievocare toni, situazioni e simpatia del primo Il diario di Bridget Jones vi condurrà piacevolmente per mano fino alla fine. Merito del ritorno al timone della regista originaria, Sharon Maguire, che appoggiata da Helen Fielding (la scrittrice dei romanzi) ed Emma Thompson in veste di sceneggiatrici, ha ridato smalto al franchise. Da analizzare qui, dunque, resta non tanto l’alchimia tra la Jones e gli aspiranti padri del suo bebé, ma tra la filmmaker e la Zellweger, che risulta essere la vera arma segreta del brand.
Anche se non è un elemento secondario che la dinamica tra Bridget e Darcy viaggi su binari più che scorrevoli, mentre la liaison con il super-sorridente ragazzone interpretato da Dempsey non convinca mai veramente.
Le risate da standing ovation sono merito di Emma Thompson che si è cucita addosso il ruolo di una ginecologa esperta, che spesso ruba la scena agli altri quattro con le sue battute sferzanti. Ma segnaliamo di tenere d’occhio anche la giovane Sarah Solemani, nei panni della collega giovane di Bridget, che con le sua lingua tagliente fa da degna spalla 2.0 a Bridget.
Sebbene l’inevitabile happy end del film – molto risolutivo (almeno fino al prossimo sequel) – faccia pensare a una Bridget che si è arresa all’ordinarietà, tradendo la sua identità di icona femminista, quella che emerge dal film è in realtà una versione molto evoluta e consapevole della donna, per cui il rapporto principale da sviluppare non è tanto quello con l’eventuale principe azzurro, ma con il bambino che porta in grembo. E con se stessa. Una Bridget più forte e matura, in qualche modo scesa con i piedi per terra, ma che non ha perso la sua sincerità disarmante e la capacità di collezionare figuracce epocali.
Il film – qui trama e trailer – sbarcherà nelle sale italiane il 22 settembre.
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