«Quando proposi Jennifer i finanziatori erano dubbiosi…». Susanne Bier racconta Una folle passione

La regista danese racconta di aver scelto la Lawrence prima di Hunger Games e Il lato positivo, a dispetto di ogni dubbio della produzione

Sappiamo a cosa avete pensato, guardando il trailer di Una folle passione (in originale Serena, come il nome della sua protagonista): Bradley Cooper e Jennifer Lawrence hanno funzionato così bene ne Il lato positivo – Silver Linings Playbook e in American Hustle – L’apparenza inganna che ci hanno preso gusto e hanno deciso di riprovarci.

In realtà la pellicola, diretta dalla regista danese Susanne Bier (premio Oscar al miglior film straniero con In un mondo migliore) e sceneggiata da Christopher Kyle (Alexander) a partire dal romanzo best-seller di Ron Rash, è stata girata ben due anni fa, molto prima che il pubblico scoprisse la grande alchimia cinematografica tra le due star hollywoodiane. Una folle passione è stato presentato in anteprima mondiale all’ultimo BFI London Film Festival e arriva in Italia il 30 Ottobre, distribuito da Eagle Pictures. Al centro della trama l’amore possessivo e malato tra Serena (Jennifer Lawrence) e George Pemberton (Bradley Cooper) e la corruzione che abita i loro cuori e il mondo in cui vivono e che, forse, finirà per distruggerli. Ne abbiamo parlato insieme alla regista e allo sceneggiatore.

Best Movie: «Sappiamo che, quando chiese a Jennifer Lawrence di interpretare la parte di Serena, Hunger Games non era ancora uscito».
Susanne Bier:
«È vero. In realtà non lo aveva neppure girato. Io l’avevo notata qualche tempo prima grazie alla sua straordinaria performance in Un gelido inverno, con cui era stata nominata all’Oscar come miglior attrice. Quando proposi il suo nome ai finanziatori ricordo che mi guardarono dubbiosi. E pensare che oggi Jennifer è una delle più grandi star del mondo!».

BM: Che cosa l’aveva colpita del romanzo, al punto da convincerla ad adattarlo per il cinema?
Cristopher Kyle: «Si tratta di una love story molto dark ambientata all’inizio della Grande depressione in North Carolina, alla fine degli anni ’20. Trovavo intrigante il fatto che avesse a che fare con i lati più oscuri dell’amore e che parlasse di come proprio l’amore possa trasformarsi in qualcosa di estremamente possessivo».

BM: Guardando Una folle passione viene in mente una tragedia shakespeariana, in cui i personaggi sono dominati da avidità, grandi passioni e desideri di vendetta. Avete avuto anche voi la stessa impressione, leggendo il romanzo?
CK: «Penso che sia vero. Di certo quando vedi il personaggio di Serena ti viene in mente Lady Macbeth. Credo che Ron Rash sia stato ispirato in parte da Shakespeare e in parte da Medea».

 SB: «Sono d’accordo. Anch’io, pensando ad un’ispirazione, direi Medea. C’è una certa vulnerabilità nel desiderio di maternità della protagonista che me la ricorda. Si tratta di un elemento che Serena condivide con lei, in un modo un po’ inaspettato».

BM: Una folle passione parla di un amore malato e di due persone disposte a tutto pur di raggiungere il successo, senza pensare alle conseguenze.
SB: «Mi affascinavano molto due aspetti della storia, oltre naturalmente al rapporto tra Serena e George: innanzitutto l’elemento della natura, del mondo che circonda i protagonisti e di come questi lo distruggano, di come l’avidità uccida tutto quello che loro amano di più. Ho trovato che fosse un dilemma interessante. E poi mi piaceva la figura di Serena, una donna forte con un’anima fragile e imperfetta in un mondo dominato dagli uomini. Penso che quest’unione di elementi sia davvero affascinante».

Quando si adatta un libro per il grande schermo si incontrano vari tipi di ostacoli. Qual è stata la sfida maggiore dal suo punto di vista?
CK: «Quando lavori a partire da un romanzo come questo capita di dover tagliare molto, anche scene bellissime come il combattimento mortale tra un drago di Komodo e un’aquila. Del resto non so come si potrebbe mai filmare una scena simile, ma parte del processo di scrittura consiste nel riuscire a bilanciare il nucleo della storia cosi che funzioni da sola al cinema».

BM: E invece cosa può dirci della fase di montaggio, in cui spesso il regista è costretto a sacrificare anche elementi a cui era affezionato?
SB: «Quando monti un film fatichi sempre molto a tagliare; capita spesso di avere dei bellissimi personaggi minori che vorresti tenere ma che, purtroppo, sei costretto a togliere. Abbiamo capito che dovevamo concentrarci sulla storia d’amore, perché due ore di esperienza cinematografica devono essere intense. Da questo punto di vista siamo stati molto fortunati ad avere Jennifer Lawrence e Bradley Cooper: nonostante fosse una storia triste, era anche gioioso guardarli interagire sullo schermo».

Che tipo di lavoro ha fatto con loro sul set?
SB: «Quando lavoro con gli attori faccio sempre la stessa cosa: li incontro qualche ora prima delle riprese. Credo che questo ci faccia prendere possesso del set, in qualche modo, aiutandoci a mettere emozione nell’azione, piuttosto che semplice tecnica. Questo è fondamentale per i film che faccio. Bradley e Jennifer sono due attori magnifici ed entrambi volevano lavorare in questo modo, dando complessità ai loro personaggi. Secondo me ci sono riusciti e le loro performance sono semplicemente meravigliose».

 

 

 

 

 

 

 

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