Quando udrai, un fragor… Mazinga Z – Infinity alla Festa del Cinema di Roma. La recensione

Tornano Koji Kabuto, Tetsuya e l'Istituto di Ricerca Fotoatomica, per fronteggiare ancora il Dottor Inferno e una minaccia che rischia di cancellare l'intero universo. Ecco com'è, quarant'anni dopo l'avvento del cartone animato, il nuovo film dedicato al mecha creato da Go Nagai

Il nuovo film di Mazinga Z arriva al cinema

Recensire un nuovo film su Mazinga Z nel 2017 è come fare la recensione della fidanzata/o di un sacco di gente, cioè una faccenda delicata e anche un po’ di cattivo gusto. Di sicuro tocca specificare in che rapporti sei con l’interessata, altrimenti non ha nemmeno senso iniziare a parlarne.

Chi scrive è nato nel 1976 ed è cresciuto negli anni più delicati dell’infanzia affiancato da quelli che una volta si chiamavano semplicemente “cartoni animati giapponesi”. In particolare – e passo alla prima persona – avevo una predilezione per Goldrake (il primo che avesse mai visto e comunque il più lirico, una specie di battesimo dell’immaginazione), Devilman e appunto Mazinga Z, che rispetto al Grande Mazinga veniva trasmesso meno spesso e aveva una sigla così esattamente roboante (“Quando udrai / un fragor / da mille decibel…”) da piantarti le unghie sul cuore e lasciarci graffi permanenti.
Detto questo, e pur avendo ancora il mio piccolo plotone di pupazzi ancora sulle mensole, non ho praticamente più rivisto i 92 episodi dell’anime anni ’70 fino ad oggi, fatta eccezione per qualche casuale escursione nostalgica su YouTube.
Tutto questo per dire che se cercate qualcuno ferratissimo sull’intera mitologia dei mecha creati da Go Nagai, avete sbagliato recensione. Se invece volete sapere che effetto può fare organizzare un pic nic nel proprio giardino d’infanzia grazie a Mazinga Z – Infinity, è la recensione giusta.

Innanzitutto, la sinossi, giusto per capire dove ci ritroviamo non appena finisce la sigla di testa (è ancora lei, e fa ancora venire la pelle d’oca) e inizia il film. Il Dottor Inferno è stato sconfitto, lui e i suoi antichissimi mostri meccanici sono spariti. La Terra vive una nuova era di pace, e l’Istituto di Ricerca Fotoatomica ha infine messo a punto uno straordinario e potentissimo reattore in grado di garantire benessere e stabilità a tutta la Terra. Non solo: il vecchio Istituto sta per essere dismesso e sostituito con uno nuovo. In tutto questo Jun aspetta un figlio da Tetsuya (spaventato dai primi capelli bianchi), mentre Koji Kabuto non si decide a chiedere la mano di Sayaka, al punto che lei sta pensando di scaricarlo. In questo divertente quadretto familiare (anche Shiro fa la sua parte), che opera una specie di riallineamento dell’immaginario al presente, interviene la scoperta di una nuova gigantesca creatura di origine micenea – il Mazinga Infinity – grande un centinaio di volte più del vecchio Mazinga Z, e con il potere di annientare l’intero universo e sostituirlo con uno nuovo, proveniente da un’altra dimensione. I vecchi nemici torneranno per impossessarsene (Infinity ha bisogno di un’anima che lo guidi) e sia Koji che Mazinga Z (ma anche Boss Robot) dovranno riprendere servizio.

A prenderlo semplicemente per quel che è, cioè un film d’animazione e di genere che viene alla luce nel 2017, Mazinga Z – Infinity è uno sci-fi popolato da un’enorme quantità di mecha (Koji affronta praticamente tutti i vecchi mostri della serie, uno dopo l’altro, in un’orgia di combattimenti in cui fa uso di tutte le armi e i comandi a disposizione), con una contaminazione davvero bizzarra tra il registro più infantile (affidato principalmente a Boss), la vena politica pacifista e qualche affondo filosofico così spiazzante da rasentare il sublime (vi siete mai chiesti perché il Dottor Inferno vuole davvero dominare la Terra? Ecco, ora lo saprete). C’è perfino un finale da space opera così radicale da evocare vagamente i viaggi di Kubrick e Nolan…

A prenderlo invece come uno specchio deformante della nostra infanzia, cioè su un piano più intimo, si nota un design consapevole della tradizione ma adeguatamente aggiornato (ad esempio la superficie di Mazinga Z e di tutti gli altri mecha è fatta di una miriade di placche connesse in modo tale da garantire la flessibilità della struttura), personaggi integri nei loro umori e nelle loro acconciature, e più in generale una riproposizione della vecchia iconografia rispettosa ma non immobile, consapevole ma non eccessivamente sentimentale.

Quindi se speravate che il film vi trattenesse in uno stato di ipnosi fanciullesca, è meglio sapere che fin lì non arriva: la materia è stata manipolata, lo scenario è noto e riconoscibile, ma alterato. Se d’altra parte vi auguravate che Mazinga Z – Infinity vi permettesse di esplorare secondo angolature inedite un immaginario che avete immensamente amato, allora il film è perfetto: si tratta ancora con inusitata serietà una scienza impossibile, riempiendosi la bocca di formulazioni barocche e senza senso, e si raccontano ancora con (in)sensata partecipazione personaggi radicalmente bidimensionali.
Ma soprattutto si lancia ancora il cuore oltre l’ostacolo, sicuri che basterà a salvare il mondo, come lo eravamo tanti anni fa. 

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