È il tema del razzismo a tenere banco durante la conferenza stampa di Django Unchained, il nuovo attesissimo film di Quentin Tarantino presentato questa mattina a Roma, a poche ore dall’anteprima europea che si terrà proprio nella Capitale. Un evento che elettrizza lo stesso Tarantino perché «è l’unico modo di vedere Edwige Fenech, Gloria Guida, Lamberto Bava, Ennio Morricone, per me una sorta di star del cinema muto, dei miti veri e propri. Agli americani sono abituato, ma loro sono un’altra cosa…».
La trama del film è ormai arcinota e vede lo schiavo nero Django comprato e liberato da un cacciatore di taglie bianco che lo elegge suo partner: i due diventano una coppia di imbattibili assassini professionisti e studiano un piano per ritrovare e liberare la moglie di Django venduta a sconosciuti anni prima. Il film arriverà in sala dal 17 gennaio in 500 copie Warner. Assieme al regista sono arrivati per promuoverlo Jamie Foxx, la bella Kerry Washington, l’immancabile Samuel L. Jackson e il suo nuovo attore feticcio, Christoph Waltz, l’indimenticabile colonnello Hans Landa di Bastardi senza gloria, il ruolo che l’ha consacrato internazionalmente con l’Oscar, aprendogli le porte di Hollywood.
Di razzismo si parla perché Django Unchained è ispirato al Django di Sergio Corbucci con Franco Nero come protagonista, ma con una diversa ambientazione storica, gli Usa di metà ‘800 ad un passo dalla Guerra di secessione per abolire la schiavitù. Proprio per la volontà di mostrare gli orrori di quel passato con tanto di torture e appellativi denigranti per gli afroamericani, il film ha suscitato già un vespaio di polemiche. Come riportato anche da Bestmovie.it, il collega di Tarantino, Spike Lee, ritiene che Django non sia il modo giusto di trattare l’argomento schiavitù e non lo andrà a vedere per onorare i suoi antenati deportati dall’Africa negli Usa (leggi qui l’articolo completo). Un altro regista di colore come Antoine Fuqua ha risposto a Spike che è proprio per far capire quanto di sbagliato ci sia stato in quegli anni che la gente dovrebbe vedere il film. Solo ascoltando la parola “negro” in quel contesto di violenza e stupidità si capisce quanto sia da biasimare. Dopo questa premessa era facile pensare che anche l’incontro stampa di stamane sarebbe stato aperto da questa polemica. Non ha fatto certo il timido Samuel L. Jackson che ha risposto in modo indiretto a Lee dicendo: «Non sprecherei tempo a parlarne! Tutti quelli nel film sono di grande intelligenza e capacità e hanno capito il modo in cui Quentin voleva mostrare la schiavitù e parlare di razzismo. Non ci preoccupa molto, quindi, ciò che un gruppetto può pensare. Sapevamo che c’erano questioni scottanti nel film, ma c’è una tale affinità tra di noi che ci ha permesso di realizzare quello che volevamo al meglio. Sfortunatamente per chi non la pensa come noi, il film si sta rivelando un successo». A fargli eco, Kerry Washington: «È interessante che il film susciti un dibattito e che si discuta di un passato condiviso, ma prima andate a vedere il film. E poi il razzismo non è un problema solo americano – ha continuato l’attrice – basta vedere cosa è successo ieri qui da voi durante la partita del Milan, quando i giocatori di colore hanno lasciato il campo per i cori contro il colore della loro pelle». Tarantino, che ha ascoltato annuendo tutto il tempo, s’intromette solo alla fine per dire: «Sono una manciata i film western in cui si parla di schiavitù: lo sapevo fin dall’inizio e m’interessava realizzare questa storia anche per questo. A Hollywood non si riesce ancora a credere che i bianchi possano vedere attraverso gli occhi di un nero, che è ciò che ho fatto io creando il legame tra Django e il Dott. Schultz: non sono solo mentore e allievo, ma si completano per il modo in cui percepiscono la situazione di sottomissione dei neri che vedono intorno a loro. Schultz può capire l’America ad un livello intellettuale, mentre Django può farlo a livello emotivo».
Nonostante le buone intenzioni e l’ottimo risultato del film, che negli Usa è già arrivato a oltre 83 milioni di dollari in 10 giorni di programmazione, la tensione sul set era alta proprio a causa dei dubbi su come il pubblico avrebbe reagito alla rappresentazione della schiavitù. Leonardo Di Caprio, assente oggi a Roma, era molto nervoso perché il copione gli imponeva di dover dire più volte “negro”. C’è voluta tutta la calma e l’esperienza di uno come Jackson per fargli ritrovare la concentrazione giusta. Di Caprio interpreta infatti Calvin Candie, il cattivo di turno che oltre ad arricchirsi alle spalle degli schiavi, gioca con la loro vita e morte in modo sadico. Jackson è invece Stephen, il suo fido maggiordomo, nonché braccio destro, o meglio, vera mente pensante.
«Dovevamo essere autentici fino infondo se volevamo che la gente apprezzasse il nostro lavoro e se volevamo essere onesti con chi quella violenza l’ha davvero subita» – ha chiosato Jackson. E comunque, la questione razziale pare stare davvero a cuore a Tarantino che ha già annunciato un prossimo film in parte basato sulla tematica: «Sarà un film sullo sbarco in Normandia ma visto un giorno dopo dalla parte delle truppe di colore che avevano il compito non di combattere ma di rimuovere e seppellire i cadaveri di Omaha Beach – ha detto il regista – la cosa sconvolgente è che nemmeno negli anni 40 del secolo scorso questi uomini erano trattati equamente perché le stesse truppe americane non si fidavano di loro e li guardavano a vista con tanto di pistole: americani contro americani. Sono a metà sceneggiatura ma non so se sarà proprio il mio prossimo film».
Per il momento, però, la scena è tutta per Django Unchained, un film ricco di humor, ritmo e piccole chicche come il cameo di Franco Nero, in cui scherza con Foxx proprio sul nome del personaggio che entrambi hanno interpretato sul grande schermo, o l’accenno al ciclo dell’Anello del Nibelungo di Wagner, introdotto da Tarantino nella storia perché raccontatogli da Waltz, che a sua volta lo racconterà a Django nel film, o il vezzo di Foxx per i cavalli che ha consentito all’attore di montare sul set proprio la sua vera cavalla. E poi c’è l’amore viscerale di Tarantino per il cinema italiano, che è poi la chiave di questo film: «Mi è sempre piaciuto il western in tutte le sue forme, ma ho un debole per lo Spaghetti western: il modo in cui usa il surrealismo e gli estremi e l’uso che fa della musica molto simile all’opera. È un sottogenere cinematografico forte che amo, quindi se volevo fare un western doveva essere uno spaghetti nel segno di Sergio Corbucci. Adoro anche Sergio Leone, ma lui creava grandi epopee con un’estetica totalizzante, Corbucci invece era più prolifico e ha creato cowboy più modesti ma pur sempre degli eroi».
Qui sotto, la photogallery dei protagonisti alla conferenza stampa di Roma:
Foto: Getty Images
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