Ci sono film che non fanno rumore, ma lasciano un’impronta profonda. Before Tomorrow è uno di questi: un’opera essenziale e rigorosa che affronta la solitudine, la perdita e la memoria con delicatezza e intensità. Ambientato in un paesaggio artico, dove il silenzio è onnipresente e il gelo è tanto fisico quanto emotivo, il film racconta una forma di sopravvivenza lontana dall’azione spettacolare, ma non per questo meno potente. Con uno sguardo asciutto e rispettoso, ci accompagna in una storia intima e dolorosa, in cui il legame tra generazioni e il potere del racconto diventano l’unico argine contro l’oblio.
Diretto da Madeline Ivalu e scritto insieme a Susan Avingaq, Before Tomorrow è il terzo capitolo della Fast Runner Trilogy, realizzata interamente da autori e interpreti Inuit. Ambientato nell’Artico canadese verso la metà dell’Ottocento, il film segue Ninioq, un’anziana donna della comunità, e il suo giovane nipote Maniq. I due partono per un’isola remota per essiccare il pesce, un’attività stagionale necessaria alla sopravvivenza del loro villaggio. Ma quando tornano, scoprono un orrore silenzioso: tutti sono morti, uccisi da una misteriosa epidemia portata da contatti con gli europei. Nessun urlo, nessun combattimento, solo la constatazione brutale che il mondo conosciuto è finito. Da quel momento, comincia la vera storia: quella della sopravvivenza.
A rendere Before Tomorrow così potente è proprio la sua essenzialità. Il film si muove con lentezza, come il passo attento di chi attraversa il ghiaccio senza sapere quanto sia spesso. Ogni inquadratura è misurata, ogni dialogo rarefatto, ogni gesto pieno di significato: non c’è azione nel senso classico, ma c’è tensione. La tensione di due esseri umani che cercano di resistere, di non soccombere, di trovare un senso in mezzo all’assurdo. Il nemico non è solo il gelo, la fame o i lupi: è il vuoto. Un vuoto fisico, emotivo, culturale.
Il cuore pulsante del film è la trasmissione orale: Ninioq racconta storie a Maniq non per passare il tempo, ma per dargli strumenti, radici, significato. Le storie diventano così scudo e medicina: ogni racconto è un frammento di civiltà, un’eredità da preservare. In una scena particolarmente struggente, Ninioq racconta una storia a Maniq per calmarlo durante un momento di fame estrema. Non si tratta solo di un gesto materno, ma di un atto di resistenza. In un mondo che sta morendo, il semplice fatto di raccontare diventa un modo per continuare a vivere.
Il film riflette così sul potere della memoria, sulla responsabilità di chi la custodisce e sulla fragilità della trasmissione culturale. Quando Ninioq muore, tutto diventa più doloroso. Maniq resta solo, ma con un’eredità da portare avanti: il grido che lancia nel vento, in una delle scene finali più struggenti del cinema recente, è un’esplosione di dolore ma anche un atto di testimonianza. È il grido di chi ha perso tutto ma sa che, finché c’è qualcuno che ricorda, nulla è davvero finito.
Before Tomorrow non è un film per tutti. Richiede pazienza, attenzione, apertura. Ma chi accetterà di seguirlo nel suo ritmo glaciale scoprirà un’opera rara, capace di esplorare il dolore e la speranza con una delicatezza disarmante. Non c’è bisogno di apocalissi visive: basta una nonna, un nipote e il rumore del vento per raccontare la fine del mondo. E per mostrare che, a volte, l’unica cosa che ci salva è il potere delle storie.
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Fonte: Collider
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