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Robert Downey Jr.: Iron Man, è quasi addio

Abbiamo incontrato l’attore dal cui talento è partito il Rinascimento cinematografico Marvel, per chiedergli quanto sono cambiate le cose in questi dieci anni, e come immagina un futuro lontano dai supereroi

Robert Downey Jr.: Iron Man, è quasi addio

Abbiamo incontrato l’attore dal cui talento è partito il Rinascimento cinematografico Marvel, per chiedergli quanto sono cambiate le cose in questi dieci anni, e come immagina un futuro lontano dai supereroi

Oggi come oggi, pare che Robert Downey Jr abbia passato tutta la vita nei panni di Iron Man. Tanto che a qualcuno tra i più giovani spettatori di Avengers potrebbe far strano sapere che a fine anni ’90 il nostro era considerato dai più un attore finito, a causa dell’abuso di alcool e stupefacenti che gli era costato svariate condanne giudiziarie e altrettanti licenziamenti professionali. Oggi, invece, Downey Jr. è una star con un richiamo che ha pochi eguali al mondo ed è quasi al tramonto di una delle esperienze più longeve e fortunate della storia del cinema: con la seconda parte della storia dedicata agli Avengers che inizia con Infinity War si chiuderà infatti anche la sua militanza nel ruolo di Iron Man. Lo abbiamo incontrato sul set del film per parlare di tutto questo e del lavoro a fianco delle (quasi) new entry del Marvel Cinematic Universe: Holland, Cumberbatch e Brolin. Ecco quello che ci ha detto, con il suo solito sorriso sornione e uno sguardo per la prima volta crepuscolare.

Hai dato il via all’universo Marvel e ora che la tua avventura sta per finire sei diventato il mentore dei nuovi arrivi. Com’è stato tornare a lavorare con Tom Holland dopo Spider-Man: Homecoming?
«Tom non è più un ragazzino prodigio, ormai è un attore affermato, sta anche girando un altro film (Chaos Walking, NdR) nelle pause di Avengers. Per lui questo set è come un ritorno a casa, il ruolo gli si adatta alla perfezione. L’altro giorno Joe e Anthony (Russo, i registi, NdR) hanno riscritto una scena che coinvolgeva me e Tom: lui ha reagito dicendo “Ok, così è meglio, però è venuta un’idea anche a me, magari la proviamo subito?”. Mi ricorda i tempi di Iron Man con Jon Favreau, o quando ho lavorato con Shane Black al terzo capitolo. I Russo sono come due Atlanti, che reggono sulle spalle il peso di un film enorme, e intanto ci incoraggiano a partecipare con le nostre idee, a divertirci».

Tony Stark è una sorta di guida spirituale per Spider-Man. Vale anche per te e Holland?
«In realtà no, però non sei del tutto fuori strada, a qualcosa servo. Voglio dire, non mi sento il mentore di nessuno, ma sono comunque quello con più esperienza nel fare questi film. Tom è solo all’inizio, e in questi casi tutto quello che ti serve è qualcuno che ti dia una spintarella, che ti confermi quello di cui già eri convinto».

Com’è stato invece lavorare con il Doctor Strange, Benedict Cumberbatch?
«Benedict è una persona estremamente attenta ai dettagli, ci tiene molto a fare le cose per bene – e questo ha aiutato anche me, a dirla tutta. Tante volte durante le riprese gli ho detto “Non preoccuparti troppo per questa scena, falla come viene”, e lui tutte le volte mi riprendeva: “Ma questo non è il modo corretto di approcciare il personaggio!”». […]

L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di aprile, in edicola dal 3 aprile

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