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Sam Rockwell: «Sono pazzo, ma so gestirlo»

Faccia da schiaffi, occhi da matto: Sam Rockwell è abbonato da sempre ai ruoli borderline, ed è difficile dire quanto i suoi personaggi li assomiglino davvero. Di certo durante un’intervista con lui, in questo caso per il cult istantaneo Tre manifesti a Ebbing, Missouri, non hai mai tempo di annoiarti…

Sam Rockwell: «Sono pazzo, ma so gestirlo»

Faccia da schiaffi, occhi da matto: Sam Rockwell è abbonato da sempre ai ruoli borderline, ed è difficile dire quanto i suoi personaggi li assomiglino davvero. Di certo durante un’intervista con lui, in questo caso per il cult istantaneo Tre manifesti a Ebbing, Missouri, non hai mai tempo di annoiarti…

Se Hollywood avesse una faccia da schiaffi, sarebbe quella di Sam Rockwell. Stuzzicadenti all’angolo della bocca, sopracciglia folte sopra due occhi perfidi, ciuffo biondo senza forma e quell’aria di chi ha sempre voglia di essere altrove, magari al bancone di un pub a scolarsi una birra e guardare una partita di football americano. Praticamente sembra nato per il ruolo che gli ha affidato in Tre manifesti a Ebbing, Missouri Martin McDonagh, lo sceneggiatore e regista irlandese con cui aveva già lavorato in Sette psicopatici. Ovvero quello di un poliziotto violento e razzista che si ritrova ad avere a che fare, nella città del titolo, con una madre (interpretata da Frances McDormand) che non si dà pace per l’omicidio della figlia e pretende a gran voce la cattura dei colpevoli. Un personaggio negativo ma sfaccettato, con molte note di ironia e fragilità.

Al Festival di Venezia, dove l’abbiamo incontrato a settembre per parlare del film, Rockwell si presenta con una camicia hawaiana con le maniche arrotolate, un dress code ancora una volta fuori da canoni.

Come definiresti il tuo personaggio? 
«È una figura a due facce. Per prepararlo ho prima lavorato con un acting coach, poi ho fatto un po’ di ricerca personale: ho incontrato un poliziotto in Missouri, qualche vittima di ustioni… Mi sono fatto guidare dallo script, che è eccezionale: in questo Martin McDonagh è uno dei migliori al mondo per quel che mi riguarda, e mi offre sempre parti splendide».

Quindi hai parlato con un vero poliziotto. Sapeva che razza di personaggio fosse Dixon?
«Sì, gliel’ho spiegato e gli ho fatto leggere lo script. Ha inquadrato subito il tipo, e ha apprezzato il fatto che si tratti di uno stronzo razzista che però fa un percorso di redenzione, un viaggio che lo porta a diventare quasi una brava persona. E quindi mi ha aiutato molto, non solo ha apprezzato ma mi ha anche suggerito qualche piccola modifica ai miei dialoghi. So che ultimamente ci sono stati diversi casi di violenza che hanno coinvolto la polizia ma credo siano eccezioni, mele marce in un corpo sano».

Come descriveresti il modo in cui McDonagh approccia la scrittura?
«Martin scrive… commedie drammatiche? Film drammatici che contengono anche elementi di commedia? Non lo so, però so che è roba fuori di testa, molto originale; in un certo senso ricorda Tarantino, ma Martin ama molto anche il western, e non c’è dubbio che i suoi tre film contengano tutti e tre molti elementi presi da quel genere».

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L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di gennaio, in edicola dal 28 dicembre

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