Esattamente come il film in sé, anche il manifesto cinematografico è (e lo è sempre stato, diciamo dai tempi in cui il pittore costruttivista Alekasndr Rodčenko prestò la sua arte a La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn) il frutto di un lavoro concettuale collettivo che talora (anzi, molto spesso) prescinde dalla figura stessa del regista. Perché a colui che un tempo si definiva “cartellonista” (un disegnatore/pittore/grafico che agiva perlopiù sotto le direttive della produzione) si sono affiancate e/o sostituite nel tempo altre figure: pubblicitari, designer, fotografi, consulenti di marketing, esperti di illustrazione digitale.
C’è stata un’epoca in cui i manifesti erano il mezzo principale attraverso cui tentare di convincere gli spettatori a recarsi al cinema; e in cui la loro collocazione era essenzialmente pubblica. Venivano esposti negli spazi urbani canonicamente destinati alla pubblicità (ma anche nelle vetrine, o su intere facciate di palazzi con affiche di metrature mostruose), fuori e dentro le sale, riprodotti nei flani all’interno delle pagine degli spettacoli degli ormai obsoleti quotidiani.
Oggi che la comunicazione ha cambiato forma, metodi e misure (e transita perlopiù in rete), il manifesto resiste ancora (chissà per quanto) in queste forme e posizioni: ma la sua funzione e il suo specifico sono cambiati. Dev’essere innanzitutto meno elaborato, più diretto, composto da pochi elementi e ben visibili per facilitarne la decodificazione anche sugli schermi di ridotte dimensioni dei device. E dev’essere comunque iconico, fulminante, immediato. I tempi dei grandi disegnatori locali (come da noi furono Casaro, Cesselon, Ciriello, Simeoni) impegnati a restituire l’idea di un film (e adatta al loro mercato interno) coi soli pennelli sono finiti. In più, il manifesto cinematografico mainstream ha pressoché lo stesso layout identico in tutto il mondo: perché la permanenza delle immagini nei flussi è più breve. E anche il manifesto deve essere global, oltre a colpire nel segno, suggestionare, impressionare per una trovata vincente, una sintesi grafica monstre, un’immagine forte.
Abbiamo provato a selezionare 20 esempi dal 2000 a oggi (a volte “ufficiali”, a volte no: ci sono teaser poster ben più impattanti delle loro controparti “finali”) che corrispondessero a questa esigenza e che nel mare sterminato della comunicazione e dell’offerta si siano saputi ritagliare comunque uno spazio nella memoria a breve termine degli spettatori del terzo millennio. Non sono ovviamente tutti quelli che avremmo voluto citare, e ogni lettore sicuramente ne avrà altrettanti nel cuore completamente alternativi a questi: ma tant’è. L’ordine? Quello strettamente cronologico (con una “licenza” iniziale).
Potete trovare lo speciale poster, insieme a tante interviste, approfondimenti e rubriche sul numero di marzo di Best Movie in edicola
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