Split: Shyamalan e l’uomo dalle 23 personalità. La recensione

Prosegue il riscatto del regista, stavolta autore di un angosciante thriller psicologico, in cui il protagonista è un James McAvoy da brivido. Al cinema dal 26 gennaio

M. Night Shyamalan ha trovato il suo angelo custode in Jason Blum, il produttore di maggior successo, oggi, nel panorama del cinema thriller/horror. Tra i due la collaborazione è nata con The Visit, il film con la nonnina più inquietante vista di recente su grande schermo che aveva rimesso in carreggiata il regista de Il sesto senso dopo una serie di grossi passi falsi. Ora il sodalizio prosegue con Split, thriller psicologico in cui James McAvoy, mai così ispirato e poliedrico, interpreta un uomo afflitto da un profondo disturbo dissociativo dell’identità, divisa in ben 23 personalità. Rapisce tre ragazze tenendole segregate e, tanto per rendere più “piacevole” la prigionia, le informa di una misteriosa e feroce creatura in arrivo…

Trattandosi di un film di Shyamalan, più di tanto non ci sentiamo di dire sulla trama. Bensì, vogliamo fornirvi alcune utili coordinate d’orientamento. La storia segue tre binari: il primo ci porta dritti nella mente labirintica del personaggio di McAvoy, le cui molteplici personalità – un bambino di nove anni, un eccentrico stilista, un ossessivo compulsivo maniaco della pulizia, una donna… – si distinguono grazie a precise caratteristiche, evidenziate dall’attore con toni di voce e accenti differenti (apprezzabili se si guarda il film in lingua originale); il secondo percorre le regole del thriller di sopravvivenza, con le tre adolescenti alla disperata ricerca di un modo per evadere dalla loro prigione; il terzo, infine, svela attraverso dei flashback il segreto nascosto nel passato di Casey (Anya Taylor-Joy), una delle ragazze rapite. Tutte linee vettoriali destinate a incrociarsi in un racconto teso che, dopo il già citato The Visit, è il secondo segnale della nuova vita cinematografica del regista.

Le cose da scoprire nel corso delle due ore di durata sono tante, e a farci in qualche modo da guida è la psichiatra del protagonista, che assume via via anche il ruolo del detective della situazione. Shyamalan – anche sceneggiatore – sfrutta il suo ruolo per esplorare la sindrome al centro del film con un approccio clinico quanto più possibile veritiero, così da aumentare l’autenticità dell’intreccio. E tiene alta la suspense sfruttando, oltre alla follia del villain, un’ambientazione dagli spazi angusti, che genera ansia al primo sguardo.

Per due terzi Split è costruito con l’inquietante concretezza di un incubo, poi, bruscamente (anche troppo), vira verso una dimensione da sempre tanto cara al regista, a metà strada fra il soprannaturale e l’horror. Il risultato spiazza, disorienta, provoca un’ulteriore reazione rispetto a quanto si è già visto.

Se una scelta simile sia un colpo di genio o una carta mal giocata, sarà terreno di dibattito. Quel che è certo è che a Shyamalan è tornata la voglia di stupire e rischiare, senza abbandonare il suo marchio di fabbrica, il colpo di scena che ti fa cadere dalla sedia. Qui non è sconvolgente come quello del Sesto senso, piuttosto rappresenta l’ultimo pezzo del puzzle. Ma ve lo garantiamo: non delude.

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