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Suicide Story, dal fumetto al grande schermo

Roberto Recchioni ci racconta le origini e il potenziale cinematografico della Suicide Squad. Ovvero tutto quello che avreste voluto sapere e ancora non avevate chiesto sui supercattivi più cinegenici dell’universo DC. E non solo

Suicide Story, dal fumetto al grande schermo

Roberto Recchioni ci racconta le origini e il potenziale cinematografico della Suicide Squad. Ovvero tutto quello che avreste voluto sapere e ancora non avevate chiesto sui supercattivi più cinegenici dell’universo DC. E non solo

La scelta della Warner-DC di portare sullo schermo un gruppo di supereroi (in realtà supercattivi) praticamente sconosciuto, potrebbe sembrare azzardata ma, pensandoci bene, è invece piuttosto sensata.
Andiamo con ordine: quando nasce la Suicide Squad? Nel 1959, sulle pagine della testata The Brave and the Bold ma, come spesso capita con i personaggi DC, questa è solo una prima incarnazione silver age (appartenente cioè alla seconda generazione di supertizi in calzamaglia) che poi verrà completamente stravolta e ripensata anni dopo. Questo primo gruppo era composto da militari privi di qualsiasi capacità sovraumana, impegnati a combattere mostri e minacce sovrannaturali. La vita di questo team è breve (e, a dirla tutta, non molto interessante) e bisogna aspettare il 1987 e la miniserie Legends per vedere la Squadra Suicida riapparire sulle pagine di un fumetto DC in una forma del tutto ripensata a opera di John Ostrander.

Qual è il concetto alla base di questa nuova squadra? Quella sporca dozzina. In sostanza, a un gruppo di supercriminali viene offerta la possibilità di redimersi a patto che accetti di compiere alcune missioni per il governo. Lavori sporchi, con un’alta probabilità di decesso. Missioni suicide. Il team è composto in larga parte da personaggi malvagi secondari: c’è Deadshot, un sicario che non sbaglia mai un colpo ma che regolarmente viene pestato da Batman; c’è Captain Boomerang, il figlio di un soldato americano e di una donna australiana che usa i boomerang come arma (ha la mamma australiana, che pretendete: o quelli, o i koala) e che ha sapientemente deciso di vedersela con Flash, l’uomo più veloce della terra; c’è Poison Ivy, avversaria di rango dell’Uomo Pipistrello, in grado di comandare le piante; c’è Doctor Light, un criminale che usa la luce come arma e viene indicato come paradigma del supercattivo incompetente dalla Justice League; Vertigo, un artista marziale che ama farsi prendere a calci da Green Arrow e dalla sua compagna Black Canary; Bronze Tiger (ha l’aspetto dell’Uomo Tigre giapponese e la caratterizzazione del Pantera Nera della Marvel, però cattivo); Enchantress, una potente incantatrice che ha quasi sempre a che ridire con eroi di natura magica come Capitan Marvel e Spectre; Punch, un cattivaccio in grado di trasformare i suoi avversari in marionette, e la sua compagna Jewelee, che ha dei gioielli magici che le donano abilità disparate (in sostanza come Green Lantern ma molto più ridicola); lo psichedelico Shade, il cervellotico Thinker, e poi…

Insomma, lo avete capito: un mucchio di tipi bizzarri, poco attraenti e di scarso successo sia nella vita fittizia che in quella editoriale. È in questi casi che si dice che l’unione fa la forza, giusto? Sbagliato, perché la testata autonoma della Suicide Squad è tutto tranne che un successo.

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Foto © Clay Enos/ TM & Dc Comics/2016 Warne Bros Entertainment and RatPac-Dune Entertainment

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