The Old Guard, intervista all'”immortale” Luca Marinelli

Dopo l'ottimo Martin Eden, ritroviamo Marinelli nell'action The Old Guard, film ispirato all'omonimo graphic novel di Greg Rucka e Leandro Fernandez in cui un gruppo di mercenari immortali si batte per difendere il genere umano. Qui ci racconta come è stato lavorare accanto a star del calibro di Charlize Theron, ma anche dei suoi gusti da spettatore e del rapporto tra sala e streaming

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«È un film d’azione con una forte anima. Ed è stato questo, più di ogni altra cosa, a colpirmi». Quando parla di The Old Guard (da oggi su Netflix), Luca Marinelli fa come un passo di lato, e cambia continuamente prospettiva, punto di vista, senso e flusso delle parole. «Poi c’è la storia», dice; e si apre un altro capitolo. «Ho comprato subito il fumetto di Greg Rucka e di Leandro Fernandez, da cui è tratto il film. E quando mi hanno mandato la sceneggiatura, co-scritta anche da Rucka, l’ho letteralmente divorata».

Le suggestioni si uniscono ai ricordi, e i ricordi rincorrono le sensazioni. Nello schema più grande delle cose, si creano punti di contatto. E storie, film e immagini diventano tasselli di un mosaico più ampio, incredibile e coloratissimo. Come Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, in cui Marinelli interpreta lo Zingaro, anche The Old Guard nasconde un tema più profondo. E quindi non ci sono etichette indelebili o recinti inviolabili.

C’è il cinema, e c’è la voglia di raccontare qualcosa. I protagonisti sono guerrieri antichissimi, che condividono un destino comune. «Si incontrano per caso, senza nessun preavviso e senza avere la minima idea di quello che gli stia succedendo», spiega Marinelli. «Si sognano a vicenda e si ritrovano, oppure come nel caso di Nicky, il mio personaggio, e di Joe, interpretato da Marwan Kenzari, combattono e si ammazzano più volte fino a provare qualcosa l’uno per l’altro. Non scoprono di essere immortali: scoprono di non poter morire definitivamente, che è diverso. Non c’è nessuna spiegazione. Nessuna vera risposta».

E quindi?
«Quindi decidono di usare questa immortalità per fare quello che credono sia giusto. Si impegnano nell’aiutare chi ne ha bisogno. Seguono sempre il loro istinto nel fare del bene. Sono persone che capiscono di avere una forza, e che decidono di utilizzare questa forza per il prossimo. Come uno scudo».

Essere immortali, però, non significa essere invulnerabili 
«Ogni volta che muoiono soffrono. E nella loro sofferenza, nel loro dolore, c’è tutto il loro coraggio. Non si tirano mai indietro».

E sta qui, forse, il punto di svolta del racconto: ciò che rende questi personaggi così umani
«Sanno che un giorno moriranno. E ogni volta non hanno la certezza di risvegliarsi. Pensa a Nicky e a Joe: vivono ogni morte con un’ansia incredibile. Di loro, della loro storia, non sappiamo molto. Solo che si sono conosciuti durante le crociate, e che se in un primo momento sembravano condannati a doversi odiare, poi hanno finito per amarsi».

Com’è stato lavorare a un film come questo? Così grande, così costoso, pieno d’azione
«È una macchina completamente differente. Se togliamo dall’equazione i nomi con cui ho avuto la fortuna di recitare, che sono stati un altro dei motivi per cui ho deciso di prendere parte a questo film, resta il lavoro incredibile che abbiamo fatto. Abbiamo cominciato ad allenarci un mese prima delle riprese, per prepararci fisicamente».

Ed è stato difficile?
«Bisogna essere veramente degli atleti. E Charlize Theron, che interpreta Andy, è fantastica in questo. Non solo è un’attrice pazzesca, ma è anche un’atleta straordinaria».

Anche se è un film in lingua inglese, hai diverse battute in italiano. Perché?
«È stata una delle cose più divertenti. Certe volte lo facevo per essere più centrato nelle scene, ed anche perché la storia me lo permetteva: i protagonisti sono persone che vivono da centinaia di anni assieme, in ogni parte del mondo. La cosa incredibile, però, è che quasi tutti gli altri attori mi capivano».

Si avverte immediatamente, fin dall’inizio, una certa complicità tra voi.
«Le prime scene del film le abbiamo girate per ultime, quando siamo arrivati in Marocco. E quell’alchimia che si vede, che si può percepire, è vera. Ne abbiamo passate tante, insieme. E abbiamo trascorso molto tempo gli uni con gli altri».

Credi che ci saranno sempre più film tratti dai fumetti?
«Lo spero. Qualcuno li chiama graphic novel, qualcun altro semplicemente fumetti. Ma stiamo parlando di arte, di storie – alcune bellissime e indelebili. Pensa al lavoro di Gipi».

Con Gipi, hai lavorato a L’ultimo terrestre 
«È una persona eccezionale. Avevo un ruolo piccolo, ma stare con lui, stare con gli altri attori, condividere quel set, è stata un’esperienza di vita indimenticabile».

Qual è la differenza tra un film come L’ultimo terrestre e uno come The Old Guard?
«Non credo che cambi molto. Certo, la macchina produttiva – come dicevo prima – è diversa. Una è più grande e costosa, l’altra è più piccola. Ma anche in The Old Guard, eravamo un gruppo. E abbiamo passato molto tempo insieme, e l’atmosfera che abbiamo respirato è la stessa atmosfera che si respira in ogni film. Cambiano l’esterno, la confezione, parte della struttura e quello che c’è dietro. L’essenza, però, è sempre la stessa».

Dopo The Old Guard, hai lavorato a Diabolik
«È stata una meravigliosa coincidenza quella di poter continuare con il filone action. Seguo i Manetti da Zora la vampira. E Diabolik è stata l’occasione perfetta per incontrarli e poter lavorare finalmente con loro».

Ultimamente si parla molto dei cinecomic. Alcuni li hanno definiti “parchi divertimento”
«Sono dei film di grande intrattenimento ma non per questo non possono avere un messaggio. Fare un action non è più o meno facile. È un genere, e ogni genere è diverso».

Altra cosa di cui si parla spesso è lo scontro tra lo streaming e la sala
«Quella della sala è un’esperienza fantastica e irripetibile. Qualsiasi cosa vista o fatta con un pubblico è meravigliosa. E sarebbe un terribile sbaglio perdere questa possibilità in futuro. Davvero: io non la lascerei andare».

Matrix 4

Qual è il primo film che ricordi di aver visto al cinema?
«Free Willy. Avrò avuto, credo, 9 anni. Ero insieme a mia madre. E subito dopo mi ricordo di aver visto Matrix, con mio padre: anche quello è un film d’azione, ma che film straordinario che è. È la prova che non tutti i film d’azione sono solo intrattenimento».

Che cosa cerchi come spettatore?
«Stimoli. Ogni volta che vado al cinema, sono curioso. Non so che cosa aspettarmi. C’è come un sipario, tra me e lo schermo, e può succedere qualunque cosa. Sì, certo, puoi vedere il trailer, ma non sai mai come sarà veramente il film».

Cosa insegna il cinema?
«Il cinema è uno sguardo diverso, particolare, sulla vita e su quello che ci circonda. A me ha insegnato a guardarmi intorno, e a guardare il prossimo e a realizzare che ognuno di noi è una storia imperdibile. Il cinema è uno sguardo su ogni più piccolo dettaglio e su ogni più piccola sfumatura».

Un film, invece?
«Un film potente riesce sempre ad avere un effetto sul pubblico. Così come possono avere un effetto un libro, un quadro, una canzone o una poesia. Se dentro c’è qualcosa, molto probabilmente sarà in grado di costruire un ponte con lo spettatore, di raggiungerlo. È importante, però, essere aperti e predisposti al cambiamento. Un film del genere, con questa profondità e questa forza, come minimo può cambiarmi la giornata».

E qual è stato l’ultimo film che ti ha cambiato la giornata?
«Brokeback Mountain. L’ho rivisto ultimamente. Ed è sicuramente uno di quei film capaci di scavarti dentro, di scuoterti. È molto triste e lo è per vari motivi. Prima di tutto per la storia che racconta e per il modo in cui la racconta. E poi per la consapevolezza che lascia: non avremo più un attore come Heath Ledger».

Luca Marinelli è in edicola nel numero di luglio di Best Movie, con una guida alle piattaforme streaming

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