Toronto 2014: Tusk, Justin Long uomo-tricheco nell’ultimo, folle incubo di Kevin Smith. La recensione

Il regista di Clerks dirige una storia bizzarra che punta a sconvolgere, raccontando di un giovane giornalista preso in ostaggio da uno psicopatico ossessionato dai grandi mammiferi marini...

Una cosa è certa: quando Kevin Smith decide di sbagliare, almeno lo fa in maniera radicale e incontrovertibile. A tre anni dall’horror politico Red State, torna a confrontarsi con tale genere grazie a Tusk, presentato in anteprima qui al Toronto Film Festival. Stavolta l’autore di Clerks prende di mira i torture-movie così di moda negli ultimi anni, ma lo fa con tale pigrizia da rendere qualsiasi tentativo di difendere il suo film assolutamente vano.

Neppure lo spunto di partenza – uno psicopatico che cerca di tramutare la vittima di turno in un tricheco – è originale, in quanto l’idea appare piuttosto mutuata da un cult underground come The Human Centipede. L’approccio di Smith è sempre lo stesso fin dai tempi degli esordi: prendere un genere e renderlo una sequenza praticamente ininterrotta di dialoghi surreali, di voli pindarici, di dissertazioni cinefile e/o filosofiche. Se ciò poteva essere originale o divertente vent’anni fa, adesso è diventato un gioco sfiancante, soprattutto se applicato all’horror. Per la prima parte Tusk si rivela un film noiosissimo, verboso nella peggior concezione del termine: i duetti tra Justin Long e Michael Parks sembrano eterni e senza alcun senso, intervallati da dei flashback in bianco e nero visivamente poverissimi. Quando poi inizia la parte che dovrebbe essere più propriamente gore e sanguinolenta, ecco che a crollare miseramente è anche la messa in scena, arrabattata con trucchi da film di serie B e trovate narrative sconcertanti.

Si arriva alla fine del film senza intuire neppure lontanamente quale fosse l’intento di Kevin Smith: voleva forse sbeffeggiare il genere? Difficile capirlo, la povertà estetica e contenutistica di Tusk non permette una risposta precisa. Se invece l’idea era quella di prendersi sul serio (cosa ormai troppo difficile…), allora il risultato ottenuto è ancora più inquietante, poiché il suo prodotto non spaventa né repelle, ma lascia clamorosamente sconcertati di fronte alla sua vuotezza. Difficile trovare una logica applicabile a questo lungometraggio, talmente povero da non riuscire a riciclarsi neppure come trash-cult. Se il cinema di genere, soprattutto l’horror, in questi ultimi anni ha saputo produrre opere talmente estreme nella loro bruttezza da essere innalzate a cult movie quasi per contrappasso, Tusk non riesce neppure in questo (deprecabile?) tentativo.

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Sotto, il trailer di Tusk:

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