“Tre tocchi”, sei ragazzi e il sogno di diventare attori. Intervista a Marco Risi al Festival di Roma

Il film, in sala dal 13 novembre, è un dietro le quinte sulle difficoltà di realizzare i propri sogni

Una squadra di calcio amatoriale. Sei aspiranti attori che ne fanno parte. Quelle che Marco Risi mette in scena sono sei storie di dolore, fatica e sogni. Ad accomunare questi ragazzi c’è la passione per un mestiere ed il tentativo (estenuante) di arrivare a farne la propria professione. «La tematica del dolore, in un paese come l’Italia, è una costante. Ci sono tanti giovani che tentano, ma vengono frustrati dall’impossibilità di trovare una realizzazione dei loro sogni, che il più delle volte non sono neanche così ambiziosi», ci dice il regista, che incontriamo all’Auditorium Parco della Musica, dove si trova insieme al cast al completo, per presentare il film Tre Tocchi, in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma.

Ecco allora che le difficoltà incrociate dai protagonisti del film trascendono il mestiere dell’attore e diventano metafora di una generazione che tenta costantemente di realizzare se stessa. «Ma c’è un’altra cosa, la più grave… io non sono nemmeno certo di essere diventato io!» sentiremo più volte recitare nel film, in tanti modi diversi (Max arriverà ad urlarla, quasi a volersene liberare). È  questa l’ultima battuta del provino che fa da filo conduttore alla storia, occasione per ottenere la parte in un film di un grande regista. E finalmente svoltare.

Realizzato con un budget di 500.000 euro, 250.000 dei quali investiti dallo stesso regista («Credo tantissimo in questo progetto, non sono stato pagato e sono produttore, cosa del tutto atipica»), il film è stato girato in totale libertà artistica. «Provate voi a mettere 10 ragazzi nudi sotto la doccia, i produttori non ve lo lasceranno fare; dieci donne nude vanno bene, dieci uomini nudi no. Ma in questo film, il più libero che abbia mai realizzato, ho potuto fare tutto quello che volevo». 

Il film si muove agilmente tra vari registri: comico, drammatico, thriller, grottesco si susseguono quasi a destabilizzarci, e ci regalano scene di una bellezza esaltante. Una, memorabile, è quella del ballerino di seconda fila diventato pusher che si è fatto 20 anni di galera, e racconta la sua storia tra un arabesque e una piroette. Risi ha scritto con l’attore stesso questa scena più di una volta: «tutto il film è stato un lavoro di grande collaborazione con i protagonisti. Siamo stati ad ascoltarli prima e durante la realizzazione; la partecipazione è stata grandissima». 

E continua: «Nel cinema di oggi è possibile fare tutto, gli effetti speciali ce lo permettono. Il cinema di ieri non era così. Io mi sono avvicinato alla settima arte grazie a mio padre (il grande Dino Risi, ndr), che amavo tantissimo e che faceva un lavoro strano: portava su uno schermo grande venti metri, i fatti che accadevano nella vita». E in Tre tocchi non mancano gli omaggi al cinema di quegli anni: c’è la sedia da regista di Fellini, c’è un ruolo “alla Joe Pesci” e c’è Marilyn Monroe. Rievocata in sogno.

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