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Tutto vero, tutto falso: il gioco di prestigio di Clint Eastwood

Ore 15:17 – Attacco al treno è un’opera coraggiosa e anticonvenzionale, più interessata alla verità che alla spettacolarizzazione

Tutto vero, tutto falso: il gioco di prestigio di Clint Eastwood

Ore 15:17 – Attacco al treno è un’opera coraggiosa e anticonvenzionale, più interessata alla verità che alla spettacolarizzazione

Attacco al Treno, il nuovo film di Clint Eastwood ispirato a una storia vera

Da febbraio 2016, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie A scena aperta, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video.

Clint Eastwood è un pluripremiato regista americano che, in questo periodo, non è così ben visto dal sistema cinematografico. In parte per aver dichiarato di aver votato Donald Trump alle ultime presidenziali ma, ancora di più, per aver predetto la sua vittoria (in barba a ore e ore di analisti politici) con molti mesi d’anticipo, spiegando che, a detta sua, tutta la campagna a sostegno di Hillary Clinton che l’establishment hollywoodiano stava mettendo in atto era controproducente, e che il popolo americano, specie le classi meno abbienti, non voleva sentirsi dire da divi multimilionari cos’era meglio per loro. Come sono andate a finire le cose lo sappiamo.

 
Ma se oggi “The Donald” siede alla Casa Bianca, non va altrettanto bene per Eastwood. Il texano dagli occhi di ghiaccio, che solo pochi anni fa era celebrato con sei candidature agli Oscar per American Sniper, oggi è diventato un ospite sgradito da non far sedere al tavolo della buona (e anti-trumpista) società cinematografica americana. Il suo Sully, un misurato e rigoroso gioiello graziato da una straordinaria interpretazione di Tom Hanks, è stato ignorato dalla critica e quello successivo, Ore 15:17 – Attacco al treno, trattato come se fosse uno scherzo.

Ed è un peccato perché l’ultima fatica di Eastwood, pur essendo tutt’altro che un film perfetto o riuscito, ha parecchi punti d’interesse. Il primo e più evidente è quello di aver scritturato i reali protagonisti della storia vera da cui la pellicola è tratta, chiedendo loro di interpretare se stessi. Il secondo punto è legato alla difficoltà intrinseca di riuscire a montare una narrazione interessante per 90 minuti, a fronte di un evento drammatico durato poco più di una manciata di secondi. Eastwood cerca di risolvere entrambi i problemi in un sol colpo, prendendo le biografie dei ragazzi protagonisti e facendone l’asse portante della pellicola. La loro infanzia, il loro sviluppo, la loro amicizia sono i mattoni, le fondamenta, su cui il regista innesta le cose che, evidentemente, gli sta a cuore raccontare: il rapporto con il passato e la memoria (ben due scene sono dedicate a questo aspetto), il rapporto con la religione, il senso del dovere, la predestinazione. Lo scopo è far convogliare questi elementi nella scena finale per farli deflagrare e dare un senso al tutto.

L’impresa gli riesce solo in parte perché il film si apre con un racconto sulla giovinezza dei tre protagonisti che è gradevole ma di puro mestiere, e poi si impantana nella parte centrale in un racconto delle vacanze di tre americani come tanti. Ma non è tempo perso, sia chiaro: questo materiale così banale (e noioso) serve a Eastwood per far capire bene allo spettatore che quella che sta guardando non è una spettacolarizzazione cinematografica ma la ricostruzione realistica di quanto è accaduto davvero. E che quelle a schermo sono davvero le persone che hanno vissuto quel momento. Il resto, come si suol dire, è ordinaria amministrazione per un maestro che ha fatto della smitizzazione della violenza e dell’anti-climax un suo marchio di fabbrica. La scena del fallito attentato è semplicemente mirabile nel suo equilibrio tra le necessità del racconto cinematografico e quelle del cinema-verità. La macchina da presa alterna la soggettiva con il passo traballante del reporter di guerra (1)…

 

 

 

 

 

 

…a un raffinato (e difficilissimo, dati gli spazi ristretti) piano sequenza (2)

 

 

 

 

 

 

Per poi passare a dei funzionali dettagli stretti (3).

 

 

 

 

 

 

E poi da capo, senza soluzione di continuità (4), servendo solamente la storia e la corretta esposizione di quanto successo.

 

 

 

 

 

 

È una sequenza che, nella sua interezza, dura meno di cinque minuti e poi è tutto finito (5).

 

 

 

 

 

 

Il finale è tutto dedicato alla celebrazione dei tre eroi e potrebbe quasi sembrare un atto dovuto e poco interessante in termini di linguaggio cinematografico, ma è qui che Eastwood assesta davvero il suo colpo e crea il cortocircuito definitivo tra verità e finzione, perché arrivati a questo punto, la cerimonia che ci viene mostrata potrebbe essere tanto quella reale, ripresa dalle telecamere di qualche telegiornale, come quella ricostruita a posteriori per il film (6).

 

 

 

 

 

 

E non c’è modo di sciogliere il dubbio se non andando a spulciare su Internet, tra le note di produzione della pellicola. Ed è grazie a questo momento che Ore 15:17 – Attacco al treno, un titolo all’apparenza non così significativo nella carriera di Clint Eastwood 6 (AKA: uno dei più grandi registi americani ancora in attività), assuma una valenza sperimentale e destabilizzan- te, sovversiva, quasi. Ma del resto, come aspettarsi di meno da Dirty Harry?

Foto: © Warner Bros.

15:17 – Attacco al treno è disponibile in Dvd e Blu-ray dal 7 giugno

 

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