Unbroken, Angelina Jolie firma un’odissea di dolore e speranza. La recensione

L'attrice e regista porta al cinema l'incredibile storia di Louis Zamperini, sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale

47 giorni di naufragio in pieno oceano, oltre due anni di prigionia in due campi di lavoro giapponesi. La storia di Louis Zamperini, ex atleta olimpionico, sembra un film solo a raccontarla, ma è una storia vera. È l’odissea di un uomo che ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale subendo una tragedia dopo l’altra e nonostante tutto ne è uscito vivo. Angelina Jolie porta la sua vita sul grande schermo affidandosi a un team di architetti all-star come i fratelli Coen, Richard LaGravenese e William Nicholson alla sceneggiatura, Roger Deakins come direttore della fotografia e Alexandre Desplat a firmare la colonna sonora. Per oltre due ore, dimostra di saper muovere la macchina da presa con buona fluidità, sia nelle scene action (l’incipt ci porta dritti nell’aereo-bombardiere della squadra di Zamperini), sia nei momenti più intimi, cogliendo sguardi ed espressioni dei protagonisti; ma quello che manca ad Unbroken è la profondità emotiva che una vicenda come quella di Zamperini richiede.

Nonostante una fotografia e una colonna sonora superbe, lo sguardo della Jolie rimane sempre in superficie: tende (volutamente) all’epico e allo spirituale nei momenti clou, ma non stende con il pugno nello stomaco tipico di questo genere di film. Non serviva la drammaticità di uno Schindler’s List, ma un approfondimento maggiore nel raccontare la fatica di rimanere per più di un mese senza cibo né acqua in mezzo al mare o la tragicità dei campi di lavoro giapponesi, avrebbe reso il film molto più intenso. È come guardare una bella vetrina che però non colpisce abbastanza per la merce che espone: Jack O’Connell è lo splendido protagonista di un biopic che – paradossalmente – si concentra fin troppo su di lui e sulle punizioni corporali che gli infligge l’ufficiale nipponico alla guida del campo dove viene trasferito. Un’autentica persecuzione che sviluppa tra i due un sinistro rapporto di sfida, da cui però è escluso il resto dei prigionieri, quasi relegati a semplici spettatori delle varie torture. Nella sua dicotomia esaltazione/distruzione del singolo, la Jolie sembra dimenticare che il destino di Zamperini fu condiviso da molti altri soldati, americani e non: giusto raccontare la storia di un uomo che di per sé è un inno alla vita e alla forza di volontà, sbagliato far credere che quell’orrore abbia pesato sulle spalle di una sola persona.

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